La Bottega del Vasaio
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In Principio era l'Ascolto.
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In Principio era l'Ascolto.

Pensieri della notte di Natale attorno a Gv 1, 1-18

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. (Gv 1, 9-14)

In principio Dio è una Parola, dice così Giovanni nel suo prologo.

Prima di ogni cosa, prima di ogni tempo c'è una Parola.

E Dio è quella Parola.

Dio è un discorso.

È comunicazione, appello, vocazione, provocazione.

Un'istanza di relazione. Un'intenzione di legame.

Dio parla e nel suo dire crea e fa essere.

La sua è una parola che realizza ciò che dice.


Eppure la parola di Dio nessuno l'ha mai sentita.

La sua voce nessuno l'ha mai udita.

Giovanni dice che Dio nella sua essenza è parola, eppure la voce di Dio, nessuno l'ha mai udita.

Si dirà che c'è qualcosa che noi chiamiamo parola di Dio, ma l'hanno scritta gli uomini ed è stata pronunciata soltanto da voci di uomini e voci di donne.

Dio è parola, ma da che mondo è mondo creato è pieno di altre voci: animali, umani.

Soprattutto umani.

Se c'è una voce che risuona nel creato con un discorso articolato a cui tenta di dare e dire un senso, non è la voce di Dio.

È quella dell'umano.

Sì, la Bibbia ci racconta che ci sono uomini e donne che hanno parlato con Dio.

Ma la simbolicità di quei racconti va rispettata.

Narrano un'esperienza, un'intuizione profonda, forse uno slancio mistico.

Hanno incontrato il mistero di Dio e l'hanno incontrato come un appello, ma chi mai può dire di aver sentito la voce di Dio?

La realtà sembra contraddire Giovanni.

Dio più che parola, sembra essere silenzio.


Riscriverei volentieri il Prologo del Quarto Vangelo così:

«In Principio era l'Ascolto».

Nella sua essenza originale e nella sua forma più pura e limpida,

Dio è - anche, forse anzitutto - Ascolto.

Egli è colui che fin dalle origini lascia parola ad altri.

Crea lo spazio perché altri prendano voce.

Dio è colui che permette a ciascuno di avviare un discorso e dire chi è.

Uno spazio libero, non giudicante, non vincolante, non condizionante, dove ciascuno si trovi nella possibilità di essere ciò che sceglie, preferisce, desidera, può essere.

Senza timore di essere valutato, soppesato, misurato.

Libero da qualsiasi costrizione, ricatto, minaccia.

Sollevato dalla paura di essere interrotto, di venire corretto, di apparire inadeguato.

Dio è colui che crea lo spazio perché ciascuno abbia la possibilità di prendere la

parola e scoprire chi è.

L'Ascolto è il principio originale in cui Dio si mette a tacere perché si sentano le voci di altri.

Prima la luce, poi il cielo, gli astri, le acque, la terra, le piante, gli animali, l'umano.

Colui che crea è uno spazio ospitale dove possano risuonare tutte le voci che desiderano farlo, in piena, assoluta e sovrana libertà.

In principio è l'Ascolto, come attesa fremente dell'arrivo di voci altre, che facciano un discorso originale e inaudito che Dio ancora non ha pronunciato e nemmeno conosce.

Egli è mistero di stupore per ciò che verrà detto e che della cui libera espressione Lui stesso è possibilità e garanzia.


Ci racconta questo anche il figlio di Dio, che quando viene al mondo, come tutti i piccoli di questo mondo, comincia a riempirsi i polmoni tanto di aria quanto di tutta l'umanità che riempie quell'aria.

Entrambe indispensabili alla vita.

Si riempie il petto non solo dell'aria ma anche degli affetti che lo circondano, delle umanità che gli insegneranno che cos'è camminare, toccare, parlare, darsi degli obiettivi, desiderare, sognare, entrare in relazione, costruire, affrontare i fallimenti, piangere, rialzarsi, scontrarsi, discutere, amare.

Quel neonato ascolterà intensamente l'umanità che ha attorno e imparerà che cosa significa essere umani non da Dio, ma da altri uomini e altre donne.

Si potrebbero forse raccontare così i trent'anni di Nazareth: non anni di silenzio, bensì di ascolto.

Anni nei quali Gesù è diventato, giorno dopo giorno e sempre di più, uno spazio ospitale dove gli altri di si sentissero liberi di prendere parola e dire chi erano, esprimere ciò che sentivano, chiedere ciò che desideravano, reclamare per le ingiustizie che avevano subito.

Trent'anni di ascolto.

E lo possiamo ben dire se facciamo attenzione a quel che accade nei pochi anni in cui decide di prendere parola a sua volta.

Gli evangelisti lo fanno parlare tanto, eppure si ha la netta sensazione che lui sia un luogo dove chiunque può entrare e prendere parola.

Per una preghiera, una richiesta di perdono, un'espressione di affetto, un atto di rispetto.

Ma c'è ospitalità in lui anche per chi entra per attaccarlo, per dissentire, per giudicarlo, per ingiuriarlo, per calunniare, per colpirlo, per screditarlo.

Gesù è un «luogo e un tempo» in cui chiunque può prendere parola e dirsi.

E scoprire così chi è, una volta per tutte.

C'è un regalo più grande che si possa fare al prossimo?

Fargli dono di se stesso.

Restituirlo a sé, riconoscendo tutto il suo diritto ad essere, a dirsi e dargli la possibilità di farlo.

C'è qualcos'altro che più di questo assomiglia all'agire di Dio?


Dio è ascolto nella sua radice più profonda e l'umano è stato fatto a sua immagine.

Non c'è nulla che ci renda più umani e per questo più divini che non sia l'ascolto.

È così che è diventato «il Crocifisso Risorto».

Colui che vive con le ferite aperte.

Ascolta davvero solo chi è ferito, come il «Crocifisso Risorto».

È dalle ferite che l'altro, con la sua sofferenza, può entrare e trovarsi accolto.

È sempre dalle ferite che entra la gioia dell'altro, come un balsamo che viene a sanare.

La prossimità e la fraternità evangeliche sono solo un altro modo di dire l'Ascolto di Dio.

Chi crede il Vangelo costruisce la «società dell'ascolto» perché ascoltare, infine, proprio nel suo far sentire la dimensione sociale della sofferenza, è un atto politico.

E non è affatto un caso che il far politica di oggi corrisponda, sempre più frequentemente, al mettere a tacere.

La controparte, il dissenso, la libera espressione, la molteplicità delle voci, il cui ascolto, infine, è la sostanza delle democrazie.

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