«Il Calvario» (Lc 23,26-56). Accettare la fine: generare è lasciare spazi di opportunità.
Pensieri sulla maschilità nella figura di Gesù a partire dai testi della Passione secondo Luca
Quarto intervento di una serie di quattro in preparazione alla Pasqua, proposti alla Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Lecco.
Quelli sottostanti sono appunti non rivisti dell’autore.
Si invita ad ascoltare la registrazione qui proposta.
26Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.
Il passaggio dalla condanna all'esecuzione è rapidissimo.
Non viene specificato chi sta eseguendo la condanna.
Anche se storicamente sono stati i romani, questa vaghezza permette di includere coloro che l'hanno fatto condannare, se non addirittura vederli - almeno indirettamente - come i veri esecutori.
Peraltro, il modo in cui viene «acciuffato» il Cireneo rimanda allo stesso stile che hanno tenuto nei confronti di Gesù: è gente che tratta le persone come merce.
Il percorso prevede il passaggio in mezzo alla città.
Due aspetti sono rilevanti:
l'obiettivo di far della morte uno spettacolo intimidatorio mostrando la fine che fa chi osa opporsi al potere;
inoltre c'è il tema dell'umiliazione e della distruzione non solo della vita ma anche della reputazione e della onorabilità della persona;
l'intento è cancellare anche la memoria perché quell'esistenza non lasci alcuna traccia del suo passaggio e non dia origine a nessun tipo di feconditàil Cireneo viene obbligato a portare la croce e non c'è nel testo alcuna traccia di solidarietà volontaria e reale, solo una presenza di circostanza;
inoltre, avendo Lc tolto le percosse precedenti, non viene immediato immaginare uno stato di debolezza estrema di Gesù, che peraltro si mostra pronto e attento alle donne che incontra (dettaglio presente solo in Lc);
eppure, paradossalmente, la posizione che Lc attribuisce al Cireneo è quella del discepolo per come l'ha dipinta in precedenza, cioè cammina dietro a Gesù portando la croce... I discepoli sono spariti e l'unico ad assumerne il ruolo è uno che è stato costretto!
Un primo "compagno non scelto" su cui Gesù pesa.
C'è già paradossalmente uno spazio da riempire: è quello del condannato che Gesù occupa ma non come dovrebbe. Occorre qualcuno che lo aiuti perché non c’è nulla di eroico in lui.
Gesù era sparito nel processo, e il suo posto era stato preso da un altro, un omicida. Ora, benché presente, sta facendo spazio ad altri.
Ora l'immagine del discepolo nel Cireneo si forma quando lui ormai si sta dissolvendo.
Quando lui c'era i discepoli lo seguivano ma con la spada, non con la croce.
Aveva cercato di generare discepoli ma la «vera generazione» avviene simbolicamente quando scompare, oltretutto in un “discepolo” che viene costretto a seguirlo.
In effetti, anche Emmaus racconta qualcosa di simile: quando Gesù scompare i due nascono non solo come discepoli ma come apostoli del Risorto.
Questo già apre riflessioni su cosa sia generare, su come e quanto abbia a che fare con l'accettazione della propria fine.
27Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. 28Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: "Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. 29Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: "Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato". 30Allora cominceranno a dire ai monti: "Cadete su di noi!", e alle colline: "Copriteci!". 31Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?".
Ricompare il popolo che ha appena condannato a morte Gesù ma che qui sembra aver dimenticato la volontà omicida.
Lc specifica la presenza delle donne che piangono.
Al di là del fatto che la loro presenza si rifà alla ritualizzazione dei lamenti per i condannati a morte, il racconto lascia intendere la spontaneità nel pianto.
Nel suo Vangelo c'è una particolare attenzione alle donne che non sono mai figure negative e tantomeno ostili a Gesù, anzi, spesso sono personaggi esemplari.
Gesù si volge a loro rifiutando di essere commiserato e invitandole a preoccuparsi di se stesse invece che di lui.
Al di là dell'esemplarità del suo disinteressarsi di sé per preoccuparsi delle donne e della sorte della città, nelle parole di Gesù c'è anche l'invito a prendere consapevolezza di ciò che sta accadendo, assumendosene la responsabilità.
Aleggia lo spettro di un evento catastrofico, di qualcosa che causerà dolore e disperazione grandi. Qualcosa che è strettamente collegato alla sua morte.
Lc usa il tema della caduta di Gerusalemme che i primi cristiani considerarono in rapporto all'uccisione di Gesù.
Vi sono immagini apocalittiche che evocano direttamente una catastrofe di tali proporzioni che renderà preferibile non generare perché il futuro sarà messo in pericolo. Lc resta vago ma è chiaro che l'allusione è alla distruzione della città.
Un detto enigmatico chiude il breve dialogo con le donne.
Non è di immediata interpretazione ma il senso si comprende: se Gesù fa una brutta fine, cosa possono aspettarsi quelli che l'hanno ucciso?
Dunque Gesù minaccia vendetta?
La pagheranno fino all'ultimo?
La domanda è retorica.
Cosa sta raccontando Lc di Gesù e del suo essere uomo?
Cosa significa chiedere di non piangere su di lui? Allude al fatto che non è nulla quel che sta vivendo? Che tanto ci sarà un lieto fine? Che non ha bisogno della loro compassione?
Più significativamente, Gesù le proietta al futuro, lui è già passato, loro hanno un futuro e non sarà semplice. Il futuro sarà loro e lui non ci sarà ad affrontarlo.
Proiettare nel futuro liberando perfino dal rimpianto, da ciò che toglie energia, che limita, che costringe a volgersi indietro, che fa sentire come se si fosse zoppi, inadeguati, senza tutto il necessario per, intrappolati nel «avrebbe potuto essere... ma invece sarà...».
Ecco cos’è davvero «generare».
32Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori. 33Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. 34Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.
Il racconto della Crocifissione è asciutto.
Non c'è spazio per indulgere ad alcuna retorica doloristica, eroica, volontaristica.
Non è la sofferenza il cuore di ciò che Lc sta raccontando ma le dinamiche di relazione, le parole scambiate, le interazioni con chi si rivolge a Gesù.
Lc presenta Gesù come malfattore. Può essere una distrazione che poi corregge?
Per come lo ha raccontato nel suo Vangelo, difficile pensarlo.
Gesù è annoverato tra gli empi, come uno che non può lasciare un'eredità e la cui memoria deve essere bandita.
La sua vita viene terminata giudicandola incapace di generare bene.
Qui non è chiamato semplicemente «ladro, brigante» o con termini che potessero confonderlo coi rivoltosi, ma «criminale», cioè uno che produce male.
Val la pena ricordare che il primo annuncio evangelico si è trovato di fronte all'ostacolo enorme di dover proporre come "Signore" un crocifisso, cosa che era considerata aberrante da giudei, greci e romani.
Il tentativo di insterilire l'annuncio evangelico era ben riuscito.
Cosa poteva generare un annuncio simile?!?
In croce Gesù non smette un attimo di ripetere parole di perdono.
La richiesta è di «lasciar perdere, lasciare andare» con un chiaro accento di liberazione.
Chiede che siano lasciati liberi, che non si trovino nelle condizioni di dover riparare, restituire, essere sotto un giogo di ricatto.
C'è un'immagine più forte dell'accettare la propria fine?
C'è un simbolo più chiaro di cosa sia effettivamente "mettere al mondo"?
Questo getta una luce particolare anche sul senso di fare memoria di Gesù, di custodire e vivere il Vangelo.
35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: "Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto 37e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". 38Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei". 39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". 40L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". 42E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". 43Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".
Ecco di nuovo il popolo che, dopo aver invocato l'uccisione di Gesù insieme ai capi, ora sembra avere un ruolo più neutro.
I capi insultano ma il popolo semplicemente osserva, anzi, contempla, perché il verbo usato da Lc suggerisce uno sguardo pensieroso, riflessivo.
Lo provocano come il Tentatore nel deserto circa la sua identità.
Se l'attacco nel deserto aveva le vesti della ragionevolezza («se vuoi lasciare il segno devi essere messia un questo modo») qui ha solo il tono del dileggio e dell'umiliazione che tende a distruggere ogni credibilità.
La provocazione è attorno all'opera di salvezza e paradossalmente riconoscono che ha realmente salvato altri, ma ciò che dovrebbe attestare la sua messianicità dovrebbe essere, secondo loro, la capacità di lottare per se stesso e di salvare la propria vita.
L'affermazione di se stesso dovrebbe essere la prova dell'autenticità di un salvatore?!?!
Può essere, se lo si pensa come uno che distrugge il nemico e che sa essere indistruttibile. Ma quello è un "vendicatore", in realtà.
La rivelazione dell'identità, a sentire loro, è tutta giocata attorno all'espressione della forza e della violenza: è un braccio di ferro, se non sa tenere testa, se non vince.
Consiste tutto nell'affermazione di sé su altri: ma come si può dare vita così?
Se al Tentatore aveva risposto, qui Gesù tace.
Sta accettando la fine e non ci sono più parole da aggiungere.
Lc ha comunque raccontato l'autorità messianica di Gesù: è il Figlio, in lui c'è lo Spirito, guarisce, perdona, serve e infine attraversa la morte.
Sorprendentemente ce n'è uno che si preoccupa di Gesù, lo difende e osa chiedere un intervento privilegiato che spiazza: quell'uomo sta accettando anch'egli la fine perché non chiede di evitare la morte.
Riconosce l'autorità/identità di Gesù e come essa non prescinda dalla morte, dalla fine.
La risposta di Gesù è chiara: «oggi» è il tempo della salvezza, cioè della manifestazione della volontà di vita del Padre.
È sempre e soltanto «oggi».
Il paradiso deve essere interpretato in termini evocativi, non topografici e nemmeno cronologici.
È sempre tempo di generare vita e l'immagine ultima e paradossale sta proprio nell'affermare che ci sarà un generare proprio nella propria fine.
44Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, 45perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. 46Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo, spirò.
Il modo in cui Gesù muore è un atto di consegna consapevole e voluta: Gesù si mette tutto nelle mani del Padre.
È una riconsegna?
No. È piuttosto l'accettazione della fine di un tempo, unita alla certezza di poter fare a sua volta quanto ha fatto il ladrone: chiedere vita e attenderla.
Nelle parole di Gesù c'è la fiducia in un Mistero di Vita che lo supera benché vi sia immerso e partecipe in modo pieno.
È la prospettiva matura dell'accettare la fine: comprendersi dentro una forza di cui si è inscindibilmente parte ma che ha percorsi, forme e manifestazioni molto piu grandi di quel che ci è dato di comprendere.
È anche la consapevolezza che, volenti e nolenti, in ciascuno di noi la vita si manifesta in modo determinato e limitato e non potremo mai esprimerla pienamente, se dunque si vuol «generare pienamente» è necessario finire.
47Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: "Veramente quest'uomo era giusto". 48Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. 49Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.
50Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. 51Egli non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. 52Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.
Ecco la vita che scorre nel centurione, nella folla...
L'icona conclusiva è un uomo che si fa carico di Gesù inerte venendo allo scoperto.
Se non è una nascita questa...