«Il tribunale» (Lc 22,66-23,25). Avere le mani legate: l’impotenza come virtù.
Pensieri sulla maschilità nella figura di Gesù a partire dai testi della Passione secondo Luca
Terzo intervento di una serie di quattro in preparazione alla Pasqua, proposti alla Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Lecco.
Quelli sottostanti sono appunti non rivisti dell’autore.
Si invita ad ascoltare la registrazione qui proposta.
66Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro sinedrio 67e gli dissero: "Se tu sei il Cristo, dillo a noi". Rispose loro: "Anche se ve lo dico, non mi crederete; 68se vi interrogo, non mi risponderete. 69Ma d'ora in poi il Figlio dell'uomo siederà alla destra della potenza di Dio". 70Allora tutti dissero: "Tu dunque sei il Figlio di Dio?". Ed egli rispose loro: "Voi stessi dite che io lo sono". 71E quelli dissero: "Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca".
Comincia il cosiddetto processo.
A muoversi è l'autorità di governo del popolo per parte ebraica.
Uno contro tutti. Non ci sono discepoli ad assistere e nessuno che possa intervenire a suo favore.
Lc omette la presenza anche di altri testimoni con false accuse, presenti negli altri racconti sinottici.
Qui è la loro parola contro la sua.
Dal punto di vista storico, le accuse formulate contro Gesù e l'identità di chi sia stato coinvolto non sono in discussione: autorità giudaiche e romane, pur con ruoli diversi sono gli attori; sedizione, minaccia dell'ordine pubblico e dell'autorità romana i capi di accusa.
Nel racconto di Lc il passaggio che Gesù fa con le autorità di Israele è scarno, rapido e decisamente ambiguo.
Si tratta di un processo? C'è un giudizio? E quale? C'è una sentenza? E in cosa consiste?
Sembra tutt'altro.
Un passaggio formale necessario solo per deferirlo all'autorità romana.
Non hanno potere di ucciderlo. Fanno i potenti ma devono appoggiarsi a poteri altrui.
Nel passaggio al Sinedrio, benché formale, compare però la domanda fondamentale sulla messianicità di Gesù.
La sua risposta è evasiva (= tanto non mi credereste, quindi non dico nulla) e ricalca quanto già aveva fatto quando l'avevano interrogato circa la sua autorità nel cap 20.
Di fatto, smaschera la falsità dell'interrogatorio che non ha ovviamente lo scopo di stabilire alcuna verità, né di accertare una colpevolezza.
Come già detto all'inizio della Passione: la sentenza di morte è già stata pronunciata, si tratta di capire come eseguirla senza avere troppi problemi.
Di per sé, da un punto di vista giudaico, la pretesa messianica non costituiva una bestemmia, né una colpa da pena capitale.
Certo, il problema di smascherare i millantatori era reale, ma non si poneva come colpa grave, solo era difficile capire come distinguere.
È chiaro che la loro prospettiva è quella di un messia davidico con ambizioni politiche che rovesci il potere imperiale.
Dal punto di vista romano, con la connotazione regale che il messia aveva, certo costituiva un problema.
Si comprende dunque il gioco sporco da parte del Sinedrio nel provocarlo per usare poi le sue affermazioni.
La risposta di Gesù però non si presta al gioco.
Gesù si rifiuta di rispondere alla domanda messianica e si mette a parlare del destino di gloria del Figlio dell'uomo.
Fa riferimento a quel personaggio ma in un modo così elusivo da non consentire di attribuirgli formalmente e automaticamente quel titolo.
Il lettore lo sa ma il Sinedrio non resta sorpreso dall'atteggiamento, e, dimostrando di essere solo alla ricerca di conferme, prosegue nei propri ragionamenti identificando Gesù con il Figlio dell'Uomo.
La doppia domanda, però, spinge a chiedersi cosa significhi essere messia secondo Lc e il riferimento precedente al Figlio dell'Uomo dice chiaro che la prospettiva dell'evangelista è l'esaltazione celeste e non la dominazione terrena.
Cosa significa la risposta di Gesù «Voi stessi lo dite...»?
C'è ambiguità perché è a metà strada tra rifiuto e ammissione.
Di fatto il Sinedrio propende per l'ammissione e dichiara l'inutilità di testimoni perché hanno sentito abbastanza.
Ma in realtà quali prove hanno? Che cosa hanno realmente sentito?
Che atteggiamento è quello di Gesù?
Sembra dire: le ho provate tutte, non ho altro che posso fare.
Mi avete legato le mani e i piedi ma non è così che mi avete davvero fermato.
Sono venuto con la Parola e con il dialogo e avete rifiutato entrambi.
Di fronte alla vostra durezza sono impotente.
Le parole di Gesù sono una resa.
Non riesce a venire a capo della situazione, con loro ha fallito, non riesce a far breccia nei loro cuori.
Si insiste tanto sulla durezza di cuore e troppo poco sull'impotenza di Gesù.
Cos'è questa impotenza? Una finzione perché potrebbe fare altro ma preferisce non imporsi perché...? È la testimonianza della verità dell'incarnazione che subisce?
Domande speculative, È bene contemplare Gesù sbattere contro un muro come ad ogni altro uomo capita e osservare come affronta la propria impotenza.
La affronta come il naturale limite della propria azione. Quel che era nelle sue capacità l'ha fatto e non deve nemmeno pensare di andare oltre. Il confine dell'agire non è impotenza, solo limite.
Non si pensa come uno il cui agire non ha limite, le cui risorse sono infinite, il cui raggio di azione non conosce ostacoli.
La realtà non la fa lui. Lui è nella realtà ma come una parte. La sua parte la svolge in pieno senza risparmio, fino all'ultimo. Ma lui non è tutto.
Così mantiene sempre lo spazio della relazione. È attorno a quel limite infatti che si articola la relazione.
È attorno a quell'impotenza che si declina l'essere uomo.
1 Tutta l'assemblea si alzò; lo condussero da Pilato 2e cominciarono ad accusarlo: "Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re". 3Pilato allora lo interrogò: "Sei tu il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici". 4Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: "Non trovo in quest'uomo alcun motivo di condanna". 5Ma essi insistevano dicendo: "Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui".
Si spostano da Pilato.
Per dare forza alla loro azione, i capi del popolo presentano tre accuse tutte relative ai rapporti con l'impero, mettendosi subito dalla parte di chi è fedele a Roma e vuole evitare che sorgano gravi problemi.
La prima accusa è che Gesù corrompe il popolo, letteralmente lo perverte, ma il termine usato ha un significato religioso, facendo riferimento a un allontanamento dal cammino divino.
In contesto romano, però, prende una coloritura morale e politica perché un popolo corrotto commette azioni pericolose, crea problemi e facilmente si ribella all'occupante. Pilato, però, non se ne cura.
La seconda accusa conferma le implicazioni concrete della corruzione: Gesù si rifiuta di pagare le imposte. È falso e in effetti Pilato non vi si sofferma proprio, lasciandosi catturare invece dalla terza accusa che contiene la pretesa di regalità, cosa che non poteva, ovviamente, lasciare cadere.
Le autorità giudaiche volutamente deformano l'identità messianica di Gesù perché Pilato possa sentirsi chiamato in causa.
Il governatore, infatti, lo interroga usando un espressione di valenza politica «re dei giudei» e non religiosa come «re di Israele».
Gesù risponde come al Sinedrio in modo ambiguo: cosa intende davvero con «Tu lo dici»? Approva, disapprova, semplicemente non si pronuncia?
Di fatto esita: si trova in trappola e lo sa, perciò ogni mossa è pericolosa.
D'altronde in ciò che Pilato dice c'è menzogna (lato politico) e verità (lato religioso).
Pilato prende posizione dichiarando Gesù innocente (prima di ben 3 dichiarazioni di innocenza) e lontano da ogni aspirazione politica.
Gli accusatori rincarano la dose e vogliono far percepire l'ampiezza del problema: la questione è proprio ciò che insegna e ormai tutta la nazione ne è stata contagiata. Mettono pressione e urgenza a un Pilato che non sembra cogliere la dimensione del problema.
La rappresentazione del processo è rapida ed essenziale ma a Lc interessa solo che appaia chiara la dinamica complessiva di scontro tra un fronte religioso e uno politico e come siano distribuite le responsabilità.
Gesù davanti a Pilato è ancora più criptico.
Di fatto rinuncia a difendersi.
Risuonano le promesse fatte ai discepoli per il tempo della persecuzione: «Non preparate prima la vostra difesa… Io vi darò lingua e sapienza a cui i vostri nemici non sapranno resistere…».
Sarebbe questo? E di quale sapienza si tratterebbe mai? Se lui è l’esempio e tace senza difendersi, che cosa significa per noi?
Forse varrebbe la pena cominciare a considerare che l’obiettivo dei Vangeli non è di raccontare un Gesù che sa sempre e comunque quel che deve fare, come, quando, perché e per chi farlo...
6Udito ciò, Pilato domandò se quell'uomo era Galileo 7e, saputo che stava sotto l'autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme. 8Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. 9Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. 10Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell'accusarlo. 11Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. 12In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.
Sfruttando il gancio dell'origine galilaica, Pilato tenta di passare palla a Erode che aveva autorità su quelle terre.
Da notare come, benché la Galilea fosse particolarmente invisa ai romani per le sue ribellioni, Pilato non si scompone e rimane su un piano di ordinaria diplomazia giuridica.
L'evangelista sottolinea così il fatto che Gesù non rappresenti per nulla un pericolo pubblico di carattere politico.
Il clima, alla corte di Erode, cambia improvvisamente. L'atmosfera giuridico-diplomatica diventa quasi mondana.
Per Erode vedere Gesù è un'occasione di divertimento, l'incontro con un personaggio famoso e l'opportunità di vedere qualche "trucco magico".
C'è in gioco la vita di un uomo e lui pensa ai suoi svaghi.
L'interrogatorio riporta nel clima del processo. Gesù è sotto il fuoco delle accuse che diventano sempre più veementi e delle domande di Erode, al quale, però riserva un enigmatico silenzio.
Perché tace? Come dobbiamo interpretare il suo silenzio?
Quel che è certo è che il silenzio di Gesù manda Erode su tutte le furie.
Non reagisce certo da giudice ma semplicemente come un potente che si è sentito oltraggiato.
Il testo esplicita la considerazione di Erode per Gesù: è un essere senza valore e buono a nulla. Lo scherno è violenza mascherata.
Gli fa gettare addosso un abito da festa, splendente, da cerimonia. Il mantello di lana bianca era quello riservato al re di Israele, come la porpora per i romani e i greci. Deridono la regalità di Gesù.
Lo rimanda da Pilato. Se lo passano come un giocattolo i potenti del mondo.
Il dettaglio paradossale di un'amicizia che nasce maltrattando un uomo lascia sconcertati.
Erode si trova impotente davanti al silenzio di Gesù e come reagisce? Indispettito, arrogante, violento… “Nullifica” Gesù che gli fa vedere che, pur con tutto il suo potere, anche Erode è un impotente.
I potenti sono fatti così: quando trovano qualcuno che mette in difficoltà il loro potere o che non dà loro quel che vogliono, lo distruggono, perché nessuno possa sospettare che il loro potere abbia un limite.
E Gesù sta con le mani legate.
Notevole è il fatto che Gesù non sfoderi i prodigi. Questo lascia intendere anche che cosa sono e come vanno intesi i prodigi e se li intendiamo come la dimostrazione che la potenza di Gesù non ha limiti siamo sulla strada sbagliata.
13Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, 14disse loro: "Mi avete portato quest'uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest'uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; 15e neanche Erode: infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. 16Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà". [ 17] 18Ma essi si misero a gridare tutti insieme: "Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!". 19Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. 20Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. 21Ma essi urlavano: "Crocifiggilo! Crocifiggilo!". 22Ed egli, per la terza volta, disse loro: "Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà". 23Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. 24Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. 25Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.
Ora è Pilato a riunire gli accusatori ed ecco che anche il popolo che, fin qui, sembrava solo aver abbandonato Gesù, ora è chiaramente schierato.
Pilato riassume la situazione ma cambiando decisamente il vocabolario: lo considera un uomo (non un "costui"), non parla di corruzione/perversione, non si riferisce alla "nazione" ma semplicemente al popolo.
Per lui è solo un problema di politica interna e sociale. Non v'è ragione di accusarlo. Per la seconda volta lo dichiara innocente. Si appoggia anche a Erode, costituendo così in modo chiaro un fronte politico contro uno religioso.
Il suo giudizio è chiaro: non ci sono ragioni per ucciderlo.
A questo punto è contraddittoria anche la punizione che intende dargli. Per cosa sarebbe da punire? Tra l'altro il termine ha il tono della correzione, dunque si tratta di un ammonimento ma per cosa?
La reazione dei presenti impressione per immediatezza e forza e unanimità: tutti gridano con tono altissimo e prepotente (ovvio che Lc sta calcando la mano).
Sono loro a chiedere la liberazione di Barabba, uno che aveva fatto tutto ciò che occorreva per scatenare l'ira romana...
Pilato tenta di alzare la voce ma quella degli accusatori è un muro di grida acclamanti l'esecuzione.
Per la terza volta Pilato tenta di imporsi, stavolta anche lui sorpreso e disorientato dalla violenza delle grida e dall'odio mortale a cui si trova di fronte e che cresce di momento in momento.
Pilato si sottomette. O meglio, la decisione è sua, il potere è suo e decide di consegnarlo in mano dei giudei.
Rilascia un omicida ribelle: Lc lo sottolinea per mostrare il compiersi del contrario della giustizia.
Gesù sparisce letteralmente.
Ha un alleato in effetti e anche potente, in verità il più potente dei presenti.
Eppure sembra che l’impotenza che accompagna Gesù coinvolga anche Pilato.
Si ritrova anche lui con le mani legate, in qualche modo.
Gesù è in scena eppure scompare.
La sua è una presenza ingombrante ma non parla, non agisce.
C’è ma un altro prende il suo posto e il nome è un gioco ironico tremendo.
Il Figlio di Dio tace, scompare e muore.
Al suo posto sta un omicida, salvo.
La giustizia è ribaltata: un uomo che merita la morte vive perché colui che merita la vita tace.