«Poco meno degli Angeli». Umanità e il bello dell'imperfezione. (3)
«Custodire». Il gusto del potere e la Compassione di Gesù. Commento a Gen 6-9.
Secondo intervento di una serie di quattro in preparazione al Natale, proposti alla Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Lecco.
Quelli sottostanti sono appunti non rivisti dell’autore. Si invita ad ascoltare la registrazione qui proposta.
Il gusto del potere. Gen 6-9
L’inizio del diluvio è enigmatico. Il moltiplicarsi degli uomini dà origine a figlie che - così il testo - «sono per loro» Ma misteriosi «figli degli dei/di Dio» le «prendono per loro». Non si sa chi siano: esseri celesti, re potenti simili a dei, umani che hanno un potere legato al divino? Costoro ammirano le figlie degli uomini come Dio ammirava il creato, ma mentre Dio ammirava e basta, questi prendono pure con lo stesso gesto di Eva verso l’albero su cui aveva puntato gli occhi con bramosia. Questi «figli di dei» vedono, prendono, consumano. Inoltre confondono i piani umano e divino fin lì separati. «Figli di Dio» o del serpente, dunque?
Dio interviene mostrando chiaramente che questi non appartengono all’ordine divino ma a quello umano («egli è carne» dice di loro). Dunque devono essere uomini potenti avvolti di aura divina che si credono “padreterni”. Dio pone un nuovo limite accorciando la vita (il confronto con i patriarchi del capitolo 5 oltremodo longevi è molto forte) e ritirando il suo spirito. Come dopo l’attentato all’albero del «conoscere bene e male» Dio ha posto un limite all’accesso all’albero della vita, qui lo schema si ripropone: volersi dare compimento senza alcun limite è un sentiero di morte e non di vita.
Dall’unione nascono «nefilim» cioè «decaduti» (non “giganti” ), degli “errori”, umanità non riuscite perché figli dell’orgoglio e della potenza. Ma sono «uomini di nome», rinomati: la forza e la potenza esercitano sull’umano un fascino tale da accecare e celebrare quel che in realtà è una aberrazione. La scala dei valori umani è ormai radicalmente pervertita perché apprezzano ciò che Dio non approva.
Ecco la condanna divina da dove viene. Prolifera l’umano e con esso la malvagità. Il male non smette di crescere: da Adamo, a Caino a Lamech. Di male in peggio. Dunque non resta che cancellare quanto fatto. C’è un ostacolo: Noè, uomo giusto che «va e viene con Dio».
Ma attorno a lui il male imperversa. C’è violenza e la terra che Dio aveva ammirato ora appare distrutta. «Ogni carne ha distrutto il suo cammino sulla terra» dice il testo. Il senso è che l’umanità non sa imbrigliare le forze vitali, la propria animalità, dando libero sfogo ad esse. Così Caino con Abele, Lamech che si vanta degli omicidi, i «figli di Dio» che rapiscono le donne. L’umano è in preda a bramosia, gelosia, sete di potere e tutto sfocia nella violenza. La soluzione è il reset. Dio decide di dare la spinta decisiva al mondo che già sta andando in rovina. Il vero distruttore non è Dio, ma l’umano. Dio è colui che decide di preservare il germe della vita buona che è minacciato dal caos che imperversa. Perciò raccoglie quel seme di vita e la racchiude in una custodia perché possa attraversare indenne le forze distruttive che sono già in atto e di cui il diluvio è immagine simbolica.
Arca e diluvio 6,14-8,22
Dio sembra rassegnarsi a giocare il gioco della violenza, eccetto che con Noè. Non distruggerà la terra ma solo gli abitanti, tranne che la famiglia del giusto. L’arca è organizzata come un piccolo mondo ordinato con regole, meccanismi, sistemi… È un microcosmo di cui Dio può ancora dire «è cosa buona» e che sarà il germe della rinascita universale. Nell’Arca il progetto di Dio attraverserà la distruzione e la morte. Le coppie maschio e femmina rappresentano questo senza altri significati aggiunti. Nell’immagine complessiva, Dio vuole il mondo, l’umano compiuto, la vita in pienezza etc… ancora una volta, nonostante tutta la perversione incontrata.
NOTA BENE: nell’Arca nessuno divora nessuno e gli animali sono vegetariani. Noè nel suo camminare con Dio non ha distrutto il suo cammino di mitezza, quello proposto da Dio fin dall’inizio, perciò nel suo dominare nell’Arca comunica la stessa mitezza agli animali.
Riempita l’Arca, la creazione viene decostruita secondo il procedimento inverso a quello del secondo e terzo giorno: le acque di sopra e di sotto tornano a non avere limiti e sommergono ogni cosa ripristinando il caos originale, come se Dio non fosse più a guardia dei confini. Rimane solo l’alternarsi del giorno e della notte dell’ordine originale.
Si costruisce così un calendario preciso con una fase crescente fino a 8,1: «1Dio si ricordò di Noè, di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui nell’arca. Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono». Ritorna la potenza vitale di Dio che avvia la fase decrescente. Ecco ricomparire l’asciutto con l’avvio della nuova creazione.
Noè edifica un altare a Dio ma… ecco un problema: gli olocausti.
La reazione di Dio è alquanto strana: «21Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo: “Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto. 22Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno”.»
Dio continua ad essere disilluso riguardo l’umano che ha il cuore portato al male fin da subito (la «giovinezza»). Rimpiange di aver colpito la terra e gli animali. Il sacrificio non lo rasserena affatto, anzi.
Noè offre il sacrificio di sua iniziativa mentre fin qui si era praticamente sempre mosso su comando divino. Dio aveva destinato gli animali dell’arca a vivere e proliferare mentre Noè uccide pensando di dover placare Dio, il quale ha già invece mostrato benevolenza. Se perfino Noè pensa che le morti siano gradite a Dio… Di doverselo ingraziare con i sacrifici di altri… Dio si pente della sua reazione sproporzionata verso la creazione ma resta disilluso. Deve però agire in qualche modo per rispondere al male il cuore dell’umano «modella fin dalla giovinezza».
Alleanza con Noè 9,1-17
Benedicendo la famiglia di Noè, Dio ripropone le parole degli inizi. Ci sono differenze rispetto a Gen 1, 28: stavolta oltre al dominio esercitato dall’umano c’è anche il timore che incuterà sui viventi della terra. Ora anche i viventi diventano cibo per l’umano che ne prenderà con violenza. Probabilmente non era casuale l’invito a prendere 7 coppie di animali puri (cioè buoni da mangiare) contro la singola coppia degli impuri.
Di fronte alla violenza che ha dilagato e ha riportato al caos, Dio agisce come con il caos primordiale: non cancella nulla (come con tenebra e acque) ma pone un limite.
La violenza viene accolta ma limitata. Gli umani potranno mangiare altri esseri viventi esteriorizzando così la violenza che li abita ma con dei limiti. Non il sangue, sede della vita. Ma nefesh si usa anche per indicare l’identità profonda di una persona (“se stesso”).
La violenza, paradossalmente, deve rispettare ciò che l’altro ha di più personale. Nutrirsi è accettabile, ma non bisogna cedere alla volontà di cancellare l’altro assorbendone tutta la forza vitale non riconoscendolo come altro da sé. La portata metaforica è chiara: ci sono movimenti del cuore che portano alla volontà di cancellare l’altro come l’odio o l’invidia, la bramosia e la rabbia.
Da questi Dio nuovamente mette in guardia perché contro di essi non c’è legge che tenga, solo l’umano può decidersi di controllarli. La violenza se è frutto di odio e invidia distrugge nel modo più assoluto. Ma contro di essa c’è solo l’appello alla responsabilità della persona.
A ciò si aggiunge l’ammonizione sull’omicidio che vede Dio dalla parte della vittima nel chiedere conto all’aggressore. C’è un germe della legge del taglione: il tentativo di porre un limite alla vendetta. Chi uccide fa la fine delle bestie perché si è bestializzato. Ma è una legge imperfetta perché oppone violenza alla violenza. La legge non legittima né ricostruisce, tenta di arginare in attesa di altre soluzioni.
Ma proprio perché si deve andare oltre, Dio a se stesso impone di non usare mai più della violenza (l’arcobaleno è un arco deposto). Ciò non vuol dire che non lotterà più contro ciò che distrugge le relazioni e devasta l’umano.
I figli di Noè 9,18-28
Noè si ubriaca e si spoglia nella sua tenda. «Nudità» indica anche i punti deboli di un paese, dunque Cam scopre la vulnerabilità di suo padre, cioè trova il modo di dominarlo, di sostituirsi a lui prendendo il potere e invertendo il rapporto padre-figlio. Per questo Cam sarà punito come contrappasso nella sua discendenza.
Ma ci sono anche notevoli doppi sensi nel testo. Le espressioni usate (il figlio «fa» qualcosa e «vede» la nudità) lasciano intendere qualcosa di incestuoso perché richiamano una relazione sessuale, comunque di carattere etero. «Nudità del padre» può indicare la moglie. Canaan sarebbe dunque figlio dell’incesto. Il parallelo con Caino è forte, anche se stavolta è il figlio a sbagliare.
Nella Bibbia capita altre volte di figli che tentano di usurpare l’autorità paterna prendendosi la moglie (cfr Ruben, Assalonne con le concubine di Davide)
La Compassione di Gesù
In un certo qual modo, anche Gesù si impadronisce della carne dell’altro, nel senso che dà alla vita del prossimo il valore della propria e tratta l’altro al pari - anzi meglio - di se stesso. La compassione è questo: ciò che capita all’altro capita a te, non nel senso della semplice empatia, ma dell’avvertire che c’è un destino comune a cui non ci si può sottrarre. La compassione, comprende l’empatia ma la trasforma in un’azione con la quale ci si prende cura dell’altro/a. Compassione come volontà di vita e di custodia/offerta di vita.
Gli eunuchi e l’impotenza
Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. 4Egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina 5e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne ? 6Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. 7Gli domandarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?”. 8Rispose loro: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. 9Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio”. 10Gli dissero i suoi discepoli: “Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”. 11Egli rispose loro: “Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. 12Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca”. 13Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù però disse: “Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli”. 15E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là. (Mt 19 , 3-15)
Di fronte agli abusi di potere che i maschi del suo tempo continuavano a compiere nei confronti delle loro mogli, trattandole come loro proprietà e facendo di esse quel che volevano, Gesù riporta il discorso alle origini. La legge mosaica serviva per contenere gli eccessi e regolamentare al minimo le questioni familiari, ma il disegno di Genesi è tutt’altro. Nessuno può permettersi di essere padrone di qualcun altro. Di fronte all’obiezione dei discepoli, Gesù usa l’immagine dell’eunuco per far passare un messaggio chiarissimo: chi accoglie il Regno di Dio rinuncia a vivere nelle relazioni qualsiasi forma di potere. L’eunuco è l’immagine dell’impotente (il seme che genera è simbolo di forza virile dominante) e chi entra nel Regno decide di essere debole rinunciando a governare spadroneggiando sulla vita altrui. La compassione di Gesù non è esercizio di forza ma manifestazione di debolezza.
Custodiscili nel tuo nome… Non toglierli dal mondo
Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. 12Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. 13Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. 14Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 15Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. 16Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17Consacrali nella verità. La tua parola è verità. (Gv 17, 11-17)
La rinuncia al potere come forma di relazione non significa affatto legami deboli, tutt’altro! Gesù si sente tutt’uno con i suoi. C’è una profondità di legame che va oltre il sangue e che raggiunge l’intensità dell’unione che c’è tra lui e il Padre. Ma quel legame non si degrada nel possesso o nel dominio. Gesù si fa da parte nel momento in cui il suo tempo si compie e lascia i suoi alla loro strada, aprendo uno spazio per un nuovo cammino. E nell’andare, non intende amputare l’esperienza dei suoi nello stare nel mondo, anzi.
La parabola dei terreni
2Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3”Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno”. 9E diceva: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!”. 14Il seminatore semina la Parola. 15Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. 16Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, 17ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. 18Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, 19ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. 20Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno”. (Mc 4, 2-9.14-20)
Il seminatore non è al centro dell’attenzione benché sia lui il protagonista dell’azione. Al centro c’è quel che accade alla semente e il suo rapporto coi terreni. L’unica determinante alla crescita fruttuosa o meno del seme è la qualità del terreno.
Più che di parabola di fallimento/successo, si tratta invece di 4 racconti organizzati attorno all’idea che una certa operazione (la semina, l’annuncio) comporta sia guadagno che perdita. Ci sono tre storie in perdita e una in guadagno.
Il racconto presuppone che l’attività di semina sia fruttuosa, ma la fruttuosità comporta la presenza di perdite. Nel processo dell’espandersi della vita c’è qualcosa che va inevitabilmente perduto. Qui c’è descritto l’ordine della creazione con la sua logica di (im)perfezione. È la logica del progredire della vita che evolve, muta, si trasforma, si propone sempre e di nuovo come possibilità abbondante, anzi, sovrabbondante. E però lo fa portando in sé i segni del dramma, della fragilità e del limite.
Dio nel manifestarsi dentro il mistero della vita abbraccia e porta dentro di sé la fragilità, la debolezza e l’imperfezione. La creazione è compiuta nel suo essere incompiuta, cioè nell’avere degli spazi di evoluzione ulteriore verso la perfezione definitiva.
Nella spiegazione, benché si dica che si semina la Parola, poi si parla di categorie di persone che vengono seminate. Il seme è allo stesso tempo la Parola e gli uomini che la ricevono.
C’è un possibile intreccio profondo tra Parola e umano che accompagna quest’ultimo nelle condizioni della vita, sopportando insieme all’umano l’infruttuosità che la vita a volte comporta, senza impadronirsi dell’umano. Ecco la compassione perfetta.
La figlia di Giairo
21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. 35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”. 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare. (Mc 5, 21-24.35-43)
Giairo parla della ragazza come della «propria figlioletta» usando un diminutivo che lascia pensare a una bimba piccola e un possessivo che indica una certa qualità del rapporto genitoriale. Chiede che siano imposte le mani come gesto terapeutico e come atto di sottomissione. L’annuncio della morte arriva dalla casa per bocca di sconosciuti che invitano a non disturbare il Maestro e parlano della ragazza come della «sua figlia», sottolineando ancora il registro genitoriale e di appartenenza.
Gesù inizialmente recepisce il linguaggio del padre, ma quando la incontra effettivamente cambia linguaggio non chiamandola affatto «bambinetta». Il gesto che compie per riportarla in vita è quello con cui si sveglia qualcuno. Non impone le mani, ma semplicemente la solleva come si fa con un’adulta. «Talita kum»: ragazza, non più bambina. Il riferimento ai dodici anni, a miracolo avvenuto, sono una conferma del narratore che non si trattava affatto di una bimba ma di una giovane donna in età da marito, pronta a lasciare la casa per prendere la sua strada.
Non è una malattia che la uccide, ma una modalità di rapporto con il padre. Considerare l’altro come proprietà personale, infantilizzarlo, non riconoscere i passaggi di crescita e ostacolarli, essere incapaci di lasciare andare nel suo sviluppo la persona, sottrarle ciò che le serve come sostegno e come incentivo alla sua progressione vitale… Questo può uccidere.
Il padre fa fatica a vedere morire la bambina per vedere nascere la donna e chiede aiuto a Gesù perché gli restituisca la bambina. Gesù libera entrambi, mostrando che un rapporto di comunione senza possesso e possibile.
Il geraseno
1 Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. 2Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. 3Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, 4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. 5Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi 7e, urlando a gran voce, disse: “Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!”. 8Gli diceva infatti: “Esci, spirito impuro, da quest’uomo!”. 9E gli domandò: “Qual è il tuo nome?”. “Il mio nome è Legione - gli rispose - perché siamo in molti”. 10E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. 11C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. 12E lo scongiurarono: “Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi”. 13Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. 14I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. 15Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. 19Non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te”. 20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati. (Mc 5, 1-20)
Fino a dove si spinge la disponibilità ad abbracciare l’umanità quando si autodistrugge disumanizzandosi e arrivando a comportamenti perfino demoniaci? Fino all’estremo. Gesù accoglie nel geraseno l’umanità al suo punto di abiezione e perversione più basso che possa raggiungere. Lo accoglie come chi offre di nuovo la strada dell’umanizzazione. Cosa che è la compassione autentica.
riferimenti esegetici
A. Wenin, Da Adamo ad Abramo o l'errare dell'uomo, EDB
C. Focant, Il Vangelo secondo Marco, Cittadella
U. Luz, Vangelo di Matteo, Paideia
J. Zumstein, Il Vangelo secondo Giovanni, Claudiana