«Poco meno degli Angeli». Umanità e il bello dell'imperfezione. (2)
«Comunicare». La volontà di dominio e autenticità di Gesù. Gen 4
Secondo intervento di una serie di quattro in preparazione al Natale, proposti alla Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Lecco.
Quelli sottostanti sono appunti non rivisti dell’autore. Si invita ad ascoltare la registrazione qui proposta.
1Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: "Ho acquistato un uomo grazie al Signore". 2Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo. 3Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, 4mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6Il Signore disse allora a Caino: "Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai". 8Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9Allora il Signore disse a Caino: "Dov'è Abele, tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?". 10Riprese: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. 12Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra". 13Disse Caino al Signore: "Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. 14Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà". 15Ma il Signore gli disse: "Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!". Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. (Gen 4, 1-15)
«Ho acquistato un uomo con il Signore»
L'avvio della vicenda umana non è stato dei migliori.
L'uomo, pur essendo posto nelle condizioni di riconoscere alla donna piena dignità e di rispettarne la radicale alterità, subito se ne appropria chiamandola «carne della mia carne» e lasciando subito intuire che la strada della relazione sarebbe stata complicata e naturalmente conflittuale.
Il mancato rispetto del limite proprio e l'approssimativa custodia dello spazio dell'altra, aprono la strada a ulteriori sconfinamenti e la violazione dell'indicazione divina di tenere la bramosia sotto controllo ne è la logica conseguenza.
L'esito di una vita con la bramosia a briglia sciolta è la possibile (auto)distruzione e un'esperienza relazionale che sarà segnata costantemente dallo scontro per la difesa del proprio spazio e la conquista di quello altrui.
In questo contesto relazionale inizia la generazione dell'umano.
La prima sottolineatura importante è notare che il verbo usato per indicare l'unione di Adamo ed Eva (yada, il famoso «conoscere in senso biblico») non è comunemente utilizzato per indicare il rapporto sessuale (solo 15vv su un migliaio di ricorrenze del termine) e quando accade, in genere si tratta in circostanze in cui si intende indicare l'esercizio di un potere da parte dell'uomo sulla donna considerata come oggetto.
Non dimentichiamo che quando l'uomo si trova di fronte alla donna creata, oltre a prenderne possesso chiamandola «propria carne», le attribuisce un nome legandola alla funzione materna, proprio come fa un padrone.
Nato il bambino, prende parola Eva, le cui espressioni sono da studiare.
Anzitutto il nome viene dato facendo un gioco di parole con il verbo «acquistare» (!)(qaniti).
Inoltre c'è un'esclamazione che nel contenuto non è così diversa da quella di Adamo quando si trova di fronte la donna.
Infine chiama «uomo» un neonato e sembra che il partner della generazione sia stato lo stesso Dio.
Ma un figlio si acquista? E perché viene definito già adulto? Che fine ha fatto l'uomo con cui lo ha generato e che viene qui sostituito letteralmente da Dio?
L'esclamazione di Eva nasconde qualche problema.
Come è stato per Adamo in precedenza, anche qui c'è all'opera una dinamica di possesso, stavolta nei confronti del figlio che diventa oggetto di avidità («Verso l'uomo la tua avidità» Gen 3, 16) ma anche di dominio.
L'atteggiamento di Eva allude a un tipo di relazione che oggi chiameremmo «fusionale».
Una presa di possesso che diventa il modo di escludere quell'altro uomo che intendeva dominare su di lei.
Caino viene al mondo in un contesto che viene dipinto come intriso dallo spirito di bramosia, dal desiderio di possedere e di dominare, dalla rivalità e dall'inganno.
«Poi partorì anche Abele, suo fratello»
Di Abele vien detto ben poco.
Eva semplicemente «continua a generare» e il nuovo arrivato non viene nemmeno presentato come figlio, ma solo «fratello di quell'altro».
Il suo nome indica inconsistenza poiché significa «soffio, fumo».
C'è dunque un figlio portato in palmo di mano e uno di cui non si ha considerazione.
La sana frattura relazionale che avviene tra unigenito e genitori a causa del nuovo arrivato potrà qui avvenire?
A entrambi i figli, in ogni caso, sembra cucita addosso una sorta di maschera o quanto meno un ruolo identificato da una posizione relazionale ben definita.
Caino il principe di casa, figlio unico pur avendo un fratello; Abele il figlio invisibile e il fratello inesistente.
Le relazioni dovrebbero essere il luogo in cui ciascuno viene posto nelle condizioni di esprimere appieno la propria identità, in tutta la sua originalità e differenza, nella massima libertà e accoglienza.
Va detto che i contesti contribuiscono sempre e comunque a costruire e definire l'identità delle persone che non è pensabile a sé stante («Non è bene che l'umano sia solo») ma sempre e comunque in relazione.
D'altra parte possono combinarsi situazioni in cui avviene una vera manipolazione che tende ad annullare la persona, impedendole l'esercizio della libertà, della responsabilità, della affettività nel modo più proprio.
Con un grosso salto in avanti temporale vediamo i due fratelli già adulti e intenti alle loro occupazioni che, nella loro diversità, sottolineano ulteriormente l'opposizione tra i due.
In realtà, la differenza potrebbe rendere i fratelli complementari nello scambiarsi i frutti del lavoro, ma così non avviene. Anzi, la narrazione dà la netta sensazione di due mondi che non entrano minimamente in contatto.
Ciò che sorprende maggiormente è il fatto che tutto sembra apparentemente normale e niente affatto problematico, fino al punto di crisi. D'altronde, spesso ci sono dinamiche di relazione poco funzionali proprio in contesti che apparentemente sono idilliaci.
L'offerta
È Dio a far scoppiare il bubbone facendo evolvere la situazione attraverso una diversità di trattamento che non ha giustificazioni nel racconto.
Non viene dato conto del motivo per cui un'offerta viene gradita e l'altra no.
Questo ha ovviamente spinto a cercare motivazioni nascoste che attribuissero una qualche colpa a Caino o a considerare il fatto come una vera ingiustizia divina.
In realtà, la narrazione ha lo scopo di far sentire il lettore come si sente Caino in quel momento, spingendolo a identificarsi con lui, facendogli provare lo stesso sentimento di rancore e rivalità nei confronti di Abele che a questo punto sparisce letteralmente.
Ma la vera ingiustizia non è compiuta da Dio.
I due fratelli sono inseriti in relazioni familiari che trasudano ingiustizie per come sono caratterizzate da possessività, manipolazione, scarsa considerazione.
Sia Caino che Abele subiscono ingiustizie essendo posti in una condizione in cui l'esperienza della fraternità è loro preclusa o, se non altro, fortemente ostacolata.
Dio vuol rompere il meccanismo, perciò dà ad Abele le attenzioni che altrimenti non ha e non si lascia afferrare da Caino che presenta l'offerta per «raggiungere Dio» (il testo indica una sorta di pretesa nei confronti di Dio).
Caino deve accettare il limite, deve imparare a elaborare il senso di mancanza e la rinuncia ad essere/avere tutto.
Ma non è così semplice come sembra.
Caino deve cambiare radicalmente la considerazione di sé e questo costa molto.
Deve svestire i panni di un personaggio che non è lui ma che fa molto comodo interpretare e che però gli impedisce di comunicare con il fratello.
Infatti è irritato all'eccesso, prova una fortissima bruciatura interiore ed è incapace di tenere lo sguardo alto, impedendosi ogni relazione.
Una perfetta descrizione dell'invidia.
Dio e Caino
Ma Dio non è certo disinteressato al destino di Caino, anzi.
Nel momento difficile gli si fa vicino e lo aiuta a rielaborare il dolore che prova e la cui causa remota non è certo l'atteggiamento divino.
Dio lo interroga anzitutto su quel che sta provando invitandolo a dialogare sulle ragioni.
È una maniera perfetta per far cadere la maschera e fare entrare in contatto con se stesso.
Ecco che Dio mostra l'autentica relazione e il vero contesto di legame che rispetta, facilita, custodisce l'autenticità altrui.
Ma poi - ed è quel che più conta - gli pone di fronte l'alternativa radicale: «fare bene» o «non fare bene», mostrandogli che la sofferenza non è un vicolo cieco.
Cosa sia concretamente non viene detto, ma Caino ha tutti gli elementi per sapere cosa occorre fare e li ha anche il lettore: può e deve aprirsi alla relazione.
Deve svestire i panni del dominatore dello spazio familiare e deve entrare in comunicazione con il fratello.
Il testo lo indica con quel «alzare il volto» che può significare anche «accogliere, perdonare».
In un certo senso: farsi toccare avendo il coraggio di mostrare il proprio volto e incontrare quello del fratello.
Quella è la strada della piena umanità attraverso cui trovare la propria dignità.
L'alternativa è un fallimento, espressione tradotta per noi con «peccato», ma che non ha nell'originale un senso morale.
Significa che Caino può perdere proprio ciò cui ambisce se non fa la scelta giusta.
Il rischio è grave e minaccioso come una belva pronta a scattare.
Il senso è proprio questo: Caino governerà la propria aggressività/animalità o no?
La fine dei fratelli e il fallimento di Dio.
L'aggressività di Caino non trova la strada giusta.
Il racconto dice testualmente che «Caino disse ad Abele...» senza che nulla venga detto a riguardo, come si trattasse di cose senza vera importanza.
Insomma Caino parla al fratello ma non si tratta di un dialogo, tant'è che la sua rabbia finisce con lo sfogarsi in altro modo.
Caino elimina il fratello e priva se stesso della possibilità di scoprire la fraternità.
Si condanna a stare nella maschera che gli avevano costruito: chiuso nell'autosufficienza che vuol prendersi ogni cosa e rifiuta relazioni che non siano compiacenti.
Mentre pensa di salvare il proprio ideale di esistenza, Caino, sopprimendo Abele, distrugge se stesso e manda in rovina la propria umanità.
Dio ha fallito. Il suo tentativo di umanizzare Caino frana clamorosamente.
Dio e Caino
Sorprendentemente Dio si rivolge a Caino senza accusarlo, ben sapendo cosa ha commesso ma anche il fatto che lui stesso è una vittima, in qualche modo.
Perciò Dio si rivolge a lui in modo discreto e dialogante, invitandolo a parlare del fratello.
La risposta di Caino è nuovamente aggressiva. Di nuovo si nasconde dietro una maschera.
Si comporta come se non sapesse nemmeno di chi Dio stia parlando e tratta il Signore come uno che non sa a chi rivolgere le domande. Un atteggiamento decisamente violento.
A questo punto, come già accaduto con i genitori, Dio avvia un processo contro Caino svelandone il crimine, opponendo ancora la forza della parola e del dialogo alla violenza che mette a tacere ogni cosa.
Le parole di Dio, colme di dolore - quasi disperazione per la sorte dei due fratelli - descrivono a Caino le conseguenze del suo gesto.
La forma è quella di una sentenza che dichiara il male compiuto - come e giusto che sia - ma la sostanza è il mettere Caino nelle condizioni di prendere coscienza di quanto ha compiuto.
L'idea che attraversa le conseguenze preannunciate è che Caino ha perso se stesso e non potrà più ritrovarsi proprio perché ha perso il fratello.
Ecco perché non potrà più coltivare e da sedentario che era diventerà errante: si tratta di una crisi di identità.
Caino sembra prendere consapevolezza e le sue parole colpiscono certamente Dio, il quale subito si affretta a spiegare che non subirà la stessa sorte del fratello, tentando anche di frenare sul nascere ogni possibile rappresaglia nei suoi confronti.
Caino dunque «esce», verbo che indica la nascita. Che sia il momento per diventare uomo sul serio?
Gesù e l'autenticità evangelica.
Caino è la maschera di se stesso. Gliel’ha messa addosso la madre e lui se la tiene stretta. Il fratello non lo tocca e lui non vuol lasciarsi toccare.
Non guardiamo a tutto questo però con uno sguardo moraleggiante.
Le ragioni delle situazioni spesso ci superano e certe posizioni che assumiamo a volte sono l'unica maniera di sopravvivere.
Ci sono maschere che servono per dominare, maschere che servono per non farsi toccare, maschere che servono per non far la fatica di cambiare, maschere che coprono le nostre debolezze…
Gesù si lascia toccare.
L’emorroissa
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». (Mc 5, 25-34)
Tutti gli sono addosso, tutti lo toccano, tutti possono fare di lui quello che vogliono e relazionarsi con lui come meglio credono.
C’è però un tocco speciale.
È un tocco pericoloso, il tocco dell’impurità, che avrebbe costretto Gesù a mettersi la maschera della Legge.
Lui si lascia toccare ed è aperto alla relazione in modo talmente libero e spoglio da lasciarsi scippare una forza che sembra sorprendere lui stesso.
Come se il tocco di quella donna gli facesse conoscere qualcosa di nuovo.
C’è l’unicità del tocco che Gesù riconosce in mezzo a mille.
Tutti lo toccano ma non per tutti esce la forza di vita.
Anche per la donna quel tocco è unico: è stata toccata altre volte ma gli altri tocchi non l’hanno sanata.
Chiamata in causa seppur in forma generica, la donna dichiara «tutta la verità», senza temere di dar conto di quanto ha fatto.
L’apertura di Gesù e l’apertura della donna si incontrano in una relazione che esprime una potenza speciale.
È una relazione sanante perché autentica o autentica perché sanante?
Certamente è una relazione in cui scorre vita e, altrettanto certamente, non è una relazione di forza ma di debolezze che si incontrano: Gesù spoglio e la donna ferita.
La peccatrice
36Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: "Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!". 40Gesù allora gli disse: "Simone, ho da dirti qualcosa". Ed egli rispose: "Di' pure, maestro". 41"Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?". 43Simone rispose: "Suppongo sia colui al quale ha condonato di più". Gli disse Gesù: "Hai giudicato bene". 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: "Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco". 48Poi disse a lei: "I tuoi peccati sono perdonati". 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: "Chi è costui che perdona anche i peccati?". 50Ma egli disse alla donna: "La tua fede ti ha salvata; va' in pace!". (Lc 7, 36-49)
Nel brano c’è qualcuno che tocca - la donna - qualcuno che si lascia toccare - Gesù - e qualcuno che non intende toccare né farsi toccare.
Il tocco della donna più che sconveniente, è assolutamente scandaloso, equivoco e dai contenuti erotici, stando alle sfumature delle parole che Luca utilizza.
Uno di quei tocchi che può segnare la reputazione o che comunque può portare a sbandare pericolosamente compromettendosi.
La donna benché porti la maschera della prostituta mostra, a chi sa lasciarsi toccare, il suo vero volto, quello di una donna ferita che ama e cerca una via di salvezza.
Gesù è come nudo davanti a lei, si lascia toccare senza resistenze e risponde con la stessa moneta autentica offrendole l’amore che cerca.
Non c’è alcuna superiorità da parte di Gesù benché la donna gli stia rendendo onore, anzi, il Maestro le restituisce l’onore “ungendola” a sua volta e consacrando i suoi gesti.
Colpisce come Gesù sia attento ai tocchi e ai gesti, come sia sensibile tanto alla spontaneità scandalosa della donna quanto alla tagliente freddezza del padrone di casa.
Quest’ultimo, tutto intento a parlare tra sé, non ha intenzione di mostrarsi per quel che ha dentro e non si lascia toccare né da Gesù né dalla donna, mantenendo salda la maschera perbenista che porta sul volto.
Betania
1 Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. 2Dicevano infatti: "Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo". 3Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. 4Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: "Perché questo spreco di profumo? 5Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!". Ed erano infuriati contro di lei. 6Allora Gesù disse: "Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un'azione buona verso di me. 7I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. 8Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto". (Mc 14, 1-9)
A Betania Gesù reclama il diritto al tocco della cura più intima e delicata.
Anche lui incontrerà il momento in cui sarà senza controllo nelle mani degli altri.
Già qui è abbandonato nella mani della donna che gli annuncia la morte ormai prossima.
Non solo accoglie un tocco gratuito e generoso ma se lo prende e se lo tiene ben stretto come un bisognoso a cui è donato qualcosa di prezioso e inaspettato.
Sarà così abbandonato da non avere nemmeno quel gesto dopo la morte, dunque non teme di mostrare in piena autenticità i suoi tratti di uomo debole, povero, bisognoso al pari di altri.
Non c’è alcun spazio per immaginare un Gesù dominatore.
Giuda
Nel Getsemani, la disponibilità di Gesù a lasciarsi profondamente toccare dall’altro raggiunge il suo culmine più alto.
Il bacio di Giuda è il ritratto più alto di come il Cristo sia l’opposto di Caino: lo spazio del fratello è sacro anche quando è un traditore omicida.
Mentre Giuda vuol mettergli la maschera del nemico, Gesù si ostina a mostrare il vero volto, quello di un amico.
Tommaso
Il Risorto, per dimostrare la propria identità, fa quel che ha sempre fatto: si lascia toccare esponendo tutta la propria debolezza.
Quel che Tommaso ha di fronte è un Dio ferito, un che non ha bisogno di mettere la maschera del dominatore (onni)potente.
E Tommaso, così, non ha bisogno di toccare o forse si è lasciato toccare una volta per tutte.
riferimenti esegetici
A. Wenin, Da Adamo ad Abramo o l'errare dell'uomo, EDB
C. Focant, Il Vangelo di Marco, Cittadella
F. Bovon, il Vangelo di Luca, Claudiana