Con questa serie di post, racconto e condivido qualche bellezza raccolta nelle case che sto visitando per la benedizione natalizia delle famiglie. Pensieri, immagini, fatti che diano un spunto di luce in questi tempi che in cui sembrano prevalere i toni cupi. 500 parole per volta per sfumare il freddo viola dell’Avvento.
«Amen!» Lo dicono forte e chiaro tutti e quattro. Immediata è l'impressione che sia rivolto a me e all'intenzione della mia preghiera più che al senso delle parole che ho pronunciato.
Quattro lettere, dal suono perentorio, quasi un timbro stampato sui pochi minuti che abbiamo condiviso, dichiarandoli come autentici, certi, stabili, solidi e senza dubbio buoni.
Non ricordo quale insegnante di Sacra Scrittura mi aveva spiegato che, se traducibile con i nostri "davvero, veramente, certamente", tra le sfumature di significato la radice della parola amen richiama anche il gesto di una donna che stringe a sè il figlio.
Chi la pronuncia, dunque, riconosce certo una verità ma non in modo asettico, piuttosto coinvolgendosi e compromettendosi con essa, stabilendo un legame, affermando un vincolo, dichiarando una relazione dal carattere forte e inscindibile. Bellissimo.
Anche se non ricordo il nome del professore, la sua spiegazione si materializza nella risposta alla benedizione che ho appena tracciato sui quattro musulmani. Anzi «Musulmanissimi» aveva precisato l'uomo che mi aveva aperto la porta qualche attimo prima.
Senegalese, sulla trentina. In braccio un bimbo di un paio d'anni e aggrappato alla gamba un altro di cinque. Sono di una bellezza che rapisce. Tutti e tre.
In cucina c'è una donna, anch'essa di colore, ma non è la moglie. Quella, italiana, se ne è andata da tempo. "Incompatibilità di carattere", si dice oggi. I piccoli se li è tenuti lui e la sorella è venuta dal Senegal per aiutarlo.
E' in Italia da parecchi anni, lavora regolarmente, conduce una vita semplice, essenziale ma estremamente dignitosa. Mi sorride, mi mette a mio agio, mi fa sentire di famiglia.
«Sei venuto per la benedizione, vero?» mi dice a un certo punto. «Sì, ma se siete musulmani…» replico io cercando un approccio intelligente, tra il rispetto e la discrezione. «E quindi? La benedizione non è chiedere a Dio il bene per qualcuno? E non puoi farlo per noi che siamo musulmani?» Ecco. Appunto. A volte a far troppo gli intelligenti si fa la figura degli scemi. «Certo, certo che posso». «Allora tu chiedi a Dio il bene per me e per la mia famiglia. Io lo chiederò per te e per la tua».
Più che una benedizione e una preghiera, questo è un patto. Un'alleanza per il bene. «Amen!». «E' vero!», quel che c'è stato tra noi è vero. Un bene vero. Una porta aperta, davvero. Un muro caduto, veramente.
Chiedere il Bene, dire Bene. pensar Bene, fare il Bene, volere il Bene. Così diverso da quel dolciastro, perbenista e moralistico essere buoni.
Perchè dietro l'essere buoni sento sempre distintamente la tentazione - a volte proprio l'intenzione - di mettere al centro sé, persino in un'opera che dovrebbe giovare all'altro.
Invece c'è il Bene da mettere al centro. Da cercare, ricevere, offrire, pronunciare, auspicare, favorire. E attorno ad esso disporsi, sentendosi alleati di ogni donna o uomo di buona volontà, qualunque volto abbia, per il Bene, nel Bene e con il Bene.
Ed è così facile, se si lasciano cadere certe intelligenze.
Questo è l'inequivocabile sapore del Vangelo che ti invita ad uscire da te, incontro all'altro, chiamati entrambi dalla voce del Bene.
Inequivocabile. Anche se a ricordarlo è un musulmano. Anzi, musulmanissimo.