Con questo e altri tre prossimi post, racconto e condivido qualche bellezza raccolta nelle case che sto visitando per la benedizione natalizia delle famiglie. Pensieri, immagini, fatti che diano uno spunto di luce in questi tempi in cui sembrano prevalere i toni cupi. 500 parole alla volta per sfumare il freddo viola dell’avvento.
Non vi era appeso. Quel busto di uomo dalla parete piuttosto emergeva. Un corpo nero lucente. Scuro come il fango eppure carico di una luce così viva che pareva provenire dal suo interno. Come un Adamo: materia e soffio, corpo e spirito, fango e luce.
Ne sentivo lo sforzo, la tensione, la lotta. Liberare anche il resto del corpo dalla morsa del cemento. Uscire dall’ibrido e dall’incompiuto. Scoprirsi, conoscersi, definirsi, trovarsi una volta per tutte. Affermare sè strappandosi dalla materia immobile. Volersi uomo intero senza accontentarsi della mezza misura. Come un Adamo: uomo che aspira ad essere come un dio.
Una lotta incompiuta. E la voce dello scultore che dietro le quinte di quell'indeterminato affermava che il compimento resta nelle sue mani.
Terribile e angosciante, ma allo stesso tempo affascinante e coinvolgente, mi pareva il ritratto più autentico dell’umano: cupo e luminoso, fatto e in divenire, libero e prigioniero. Animato da un insopprimibile anelito di assoluto e in attesa di un compimento definitivo che le sue mani non sanno dargli.
È utile continuare, in questo tempo travagliato, a cercare motivi di speranza fuori di noi inseguendo l’ultimo dei profeti di salvezza, obbedendo alla più recente delle teorie di riscatto, alimentando il sogno di un'improbabile svolta miracolosa?
Forse basta ascoltare nel fango-e-luce di cui siamo fatti, la voce di quella tensione interiore che ci spinge a non restare prigionieri, e troveremmo lì tutta e sola la speranza di cui abbiamo bisogno.
In quell’energia di vita che avvertiamo in noi senza poterla possedere, che sentiamo amica senza riuscire a stringerla e che riconosciamo a prima vista senza saperne il nome c’è la prova più evidente che Qualcuno opera invincibilmente perché nulla di noi resti a metà, ma tutto, in un modo o nell’altro giunga a un compimento.
Nello sforzo di emergere di questo nostro fango-e-luce allora c’è il segno di un Altro che viene, che compie, che libera. Un Altro che è la Speranza e che sa frantumare il cemento in cui, per colpa o per ingiustizia, a volte si resta imprigionati.
Me l’ha raccontato M. che una frazione di secondo ha derubato dell’uomo che era la sua speranza e la sua famiglia. Morta con lui, sepolta con lui, finita con lui, da quel giorno in poi ha passato mesi e mesi esistendo senza più vivere. Cieca ad ogni stimolo, sorda ad ogni richiamo e insensibile ad ogni tocco.
Fino ad avvertire in un momento che proprio il suo desiderio di autodistruzione era un estremo grido di vita, di definitiva ribellione alla morte e di rifiuto della sofferenza. M. che, in quell’istante, ha accolto come alleata quella Forza interiore che la chiamava a riemergere e che era l’unica risorsa plausibile in quella vita che lei aveva visto così fragile.
Lei che, oggi, continua la lotta nel suo bed&breakfast, senza contare il numero dei clienti, ma facendosi per ognuno casa e famiglia.
Con il suo fango, la sua luce, la sua Speranza di Assoluto.