Meditazione proposta alla Parrocchia dei SS. Nereo e Achilleo di Milano, in occasione degli esercizi spirituali comunitari.
Ascolta la registrazione dell’intervento:
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: "Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei". Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso". (Lc 23, 33-43)
«In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»
Un parola di una forza straordinaria, dal contenuto consolante e al tempo stesso sconcertante, soprattutto se considerata unitamente all'incessante litania di perdono che Gesù fa scendere su suoi carnefici («Continuava a dire: "Padre perdona...»).
Se ci si può salvare così, all'ultimo secondo, in modo così semplice e immediato e al tempo stesso così apparentemente ingiusto secondo i criteri del merito, allora chi potrà dirsi davvero perduto?
La salvezza del ladrone è al tempo stesso scandalosa e straordinariamente affascinante: rompe certi schemi di giustizia, infrange determinate immagini di Dio e apre prospettive insperate.
Si intuisce immediatamente che quel che accade in quelle parole e in quegli istanti, proprio per la forza dirompente che le caratterizza, non può essere facilmente derubricato a un semplice condono eroico sgorgato dall'animo estremamente generoso di Gesù.
O meglio, certamente è un condono per come viene rimessa la pena al ladro, ma nelle intenzioni di Luca non c'è certo l'intenzione di proporre Gesù come un modello etico da imitare, caso esemplare di martire innocente, una sorta di eroe della pazienza, della sopportazione e della comprensione che dobbiamo prendere ad esempio e a cui ci dobbiamo ispirare.
Luca presenta Gesù come «martire», ma nel senso proprio di «testimone»: il Crocifisso è Colui che apre il sipario sul Volto del Padre, svelandone in modo inequivocabile i tratti misericordiosi.
Una parola, questa della Croce, che non possiamo dunque trattare se non con delicatezza e profondissimo rispetto, come merita ogni parola di carattere rivelativo, evitando anzitutto di scivolare rapidamente nel moralismo volontarista del: «dobbiamo perdonare come Gesù ha perdonato» o nel fatalismo autoassolutorio del: «Tanto non saprò mai perdonare come ha fatto Lui».
Piuttosto occorre mettersi in profondo e contemplativo ascolto dei fatti della Croce, dei Suoi gesti e delle Sue parole, cercando di coglierne tutto il contenuto rivelativo.
C'è ben più di un condono accondiscendente che chiude gli occhi sul male commesso. Proviamo a scoprirlo approfondendo il contesto in cui quella parola viene pronunciata e i gesti che Gesù compie come contorno di quella affermazione.
Il contesto
Anzitutto qual è il contesto in cui quella parola sconcertante viene pronunciata?
Fuori dalla città.
È l'immagine del rifiuto: Gesù viene estromesso come un elemento di contaminazione. Sta fuori, là dove deve stare ciò che è indegno, impuro, pericoloso, soprattutto estraneo.
Il Figlio di Davide annunciato viene rifiutato dalla propria città che non lo riconosce non solo come re ma lo ritiene estraneo anche come membro del popolo.
Di quella città, di quel tempio, di quel popolo i capi hanno preso possesso, hanno estromesso Dio occupando ogni spazio con la loro presenza, la loro dottrina, il loro potere, la loro immagine deformata di Dio.
Tra i malfattori.
Viene collocato tra la gente di malaffare. A ben vedere nulla di nuovo. I perduti sono casa sua. Ha abitato volentieri e senza paura con ladri, prostitute e peccatori pubblici. Sembra aver fatto dei bassifondi la propria casa e andare a morire tra i malfattori è un andare a morire a casa.
Ha compiuto l'azione inversa rispetto a ciò che i farisei compiono nei suoi confronti: a colui che è maledetto egli si è fatto vicino.
Il "Maledetto" è il Dio dei maledetti prima che dei santi. Un Dio contaminato.
Sembra che uscito dal recinto del Tempio si sia costruito un tempio alternativo nel quale ha preso casa per abitarvi stabilmente, un tempio costituito dall'umanità ferita, smarrita, perduta e peccatrice.
Gli insulti.
Non solo estromesso ma anche oltraggiato e dileggiato. La parola di perdono cade in mezzo a un concerto di insulti.
Lo scherno e la derisione infangano. Il volto di chi subisce viene deformato e caricaturato. La calunnia e la derisione cancellano il volto autentico della persona e lo rendono una macchietta, una figurina in cui il dettaglio buffo sommerge ogni altro elemento: storia, personalità, caratteristiche...
Come prendere poi sul serio un buffone?
Gesù viene cancellato e deformato. Il corpo, il messaggio, l'identità, il buon nome. È uno dei modi più potenti per violare la libertà dell'altro, per compromettere il suo determinarsi e decidersi.
La solitudine e la lontananza.
Il prosieguo del racconto ci dice la lontananza anche di coloro che erano rimasti con Lui. Un uomo solo è un uomo morto. Non si è fatti per la solitudine ma per la relazione e la comunione.
Quando un uomo è fuori da ogni comunione e da ogni relazione è un uomo morto. Non c'è il Padre, non ci sono i suoi. Gesù è un signor nessuno.
Quella parola di perdono e prossimità, pronunciata in una simile desolazione suona come straordinaria.
La tentazione.
Gliel'aveva preannunciato che sarebbe tornato al tempo opportuno. E non c'è tempo più opportuno per la tentazione che quello della debolezza e della sofferenza. Il Nemico che è un vigliacco attacca sempre dal punto più debole e nel momento di maggior fragilità.
La tentazione è la stessa: «Se sei Figlio di Dio... Salva te stesso». È il cuore del suo essere Figlio che viene colpito con forza, senza che ora abbia più nulla con cui difendersi.
I gesti e le parole di Gesù e del suo "complice".
Visto il contesto, quali sono gli altri elementi di contorno?
Resta in mezzo ai malfattori.
La sua solidarietà è una benedizione. Il suo diventare familiare del malfattore rende partecipe quest'ultimo della Sua stessa dignità: nessuno può dirsi perduto, nessuno può dirsi impuro, nessuno può pensarsi maledetto.
La solidarietà coi miseri dimostrata lungo gli anni del Suo ministero ora però è estrema: il loro destino è il Suo destino. Come Lui arriverà tra le braccia del Padre, anche loro, se vorranno, potranno raggiungerLo al pari di Lui.
Non c'è da rendersi puri, è la sua prossimità a purificare. Il ladro non entra nel Regno per il fatto che la sua richiesta in extremis contiene una fede di una tale purezza e portata da rimediare a tutto il male commesso rendendolo degno della salvezza. Ciò che "rende puro" quel ladro catapultandolo in Paradiso è la volontà estrema di Gesù di essere solidale con lui.
Quel rimanere, dunque, non va considerato come l'accettazione fatalistica di un finale inevitabile e nemmeno un scelta di ripiego. Il cammino percorso da Gesù nel suo ministero ci fa intendere questa condizione come una volontà precisa: quella è la Sua fine perché quei maledetti sono il Suo fine.
Li ha puntati e li ha raggiunti.
Il silenzio in cui cadono le provocazioni e gli scherni.
Non trovano nessuna eco ed è così che vengono messi a tacere. Non con un urlo più forte, non con un tuono stordente, non con una replica più tagliente, non con una polemica vincente. Solo silenzio.
Il male viene assorbito e così messo a tacere.
Quel silenzio è uno spazio vuoto in cui la provocazione cade, si spegne e finisce. Quel silenzio è la tomba della violenza di quelle parole.
È come se Gesù le assumesse e le portasse con sé nel regno del silenzio, attraverso quello spazio interiore creato dalla rinuncia all'orgoglio malato.
Non c'è da concedere spazio ulteriore, nessuna risonanza, nessuna replica, nessuna memoria.
Il silenzio in cui si spengono gli inviti all'autosalvezza.
Le tentazioni all'autosalvezza incontrano anch'esse un silenzio che però non è stavolta un vuoto in cui esse vengono soffocate, piuttosto un pieno, quello della volontà di salvezza dell'uomo che riempiva la libertà di Cristo senza lasciare spazio ad altro pensiero, desiderio, impulso che quello.
Un uomo, un Dio, tutto volontà di salvezza nei confronti dell'altro. Non c'è risonanza in Gesù a quelle parole perché si trova su tutta un'altra lunghezza d'onda.
Quella del «salva te stesso» è la logica dell'affermazione di sé quale dimostrazione di forza, la prospettiva per cui chi è potente anzitutto si salva e poi, eventualmente e solo per somma generosità, dopo aver dimostrato la propria forza, salva anche altri come gentile concessione. Spesso, oltretutto, implicando vincoli schiavizzanti di riconoscenza servile.
Di tutto questo in Gesù non c'è traccia perché tutta la volontà, l'intelligenza, l'affetto, la libertà di Gesù sono pregne del desiderio di salvare l'altro.
L'altro.
Colui che "vede" la Misericordia accanto a sé è "altro", è alternativo rispetto alla mentalità del «salva te stesso»,
La richiesta rivolta a Gesù è sfacciata e scandalosa. È alternativa e "altra" rispetto ad ogni logica di merito, giustizia e anche buon senso. Perché dovrebbe pensare a lui? Perché dovrebbe premiarlo? Perché dovrebbe salvarlo?
Ha un modo alternativo di "temere" Dio: anziché preoccuparsi di non chiedere troppo alla Sua bontà, di non arrecare troppo disturbo, osa e provoca, spingendo la Sua benevolenza là dove sarebbe assurdo e insensato pensare che possa arrivare.
La risposta che riceve è la conferma che la Misericordia annunciata da Gesù è "altra", al pari del ladro.
Il presente della Misericordia
Il ladro chiede di essere ricordato, non abbandonato, non lasciato solo. Vuole un impegno per il futuro, la garanzia per il domani.
La risposta è un «oggi», perché la Salvezza di Dio è un Presente, è Colui che è presente, a fianco vivente e solidale. La Salvezza è una Presenza e se la guadagna non chi si merita quella vicinanza, ma chi osa chiederla con umiltà, speranza e anche un po' di coraggiosa sfrontatezza.
Dio salva con il Suo esserci qui e ora. L'immediatezza della salvezza riservata ala ladro ci dice lo stabile permanere della volontà di salvezza di Dio. È un presente eterno, perciò è garanzia di futuro.
Non è un'uscita di emergenza che si apre al momento opportuno perché si possa entrare alla Sua presenza, piuttosto Lui che ieri, oggi, domani si rende presente e prossimo.
Quale racconto della Misericordia c'è dunque qui?
Molto molto molto di più di un semplice perdono o remissione della colpa.
1. È anzitutto un principio, un'istanza, una volontà di comunione posta in essere anche - anzi, soprattutto - a fronte di una situazione estremamente sfavorevole o, addirittura, radicalmente opposta.
Che possibilità di comunione c'era sulla Croce con persecutori, calunniatori, malfattori? Eppure...
È un'istanza di comunione che sorge dall'affermazione unilaterale dell'altro: «Io voglio che tu sia, che ci sia e io sarò con te e per te».
Una volontà di comunione così radicale e "a priori" da non avere bisogno di condizioni favorevoli per esistere, tantomeno di meccanismi di azionamento per funzionare.
La Misericordia è l'affermazione definitiva del «Io ti voglio con me, sempre e comunque».
2. È davvero sconcertante che accada al di fuori dal recinto sacro, in un luogo che non ti aspetteresti, uno spazio maledetto, nella circostanza meno prevedibile, nel posto meno meritevole.
Non è raro che gli spazi sacri diventino esclusivi, oppressivi, asfittici a immagine e somiglianza di chi li ha edificati. Non è raro che le istituzioni che si propongono come custodi del sacro divengano ostacolo alla visione di Dio.
La Misericordia è il segno più evidente che il Dio di Gesù Cristo è un «Dio in uscita», un Dio che percorre strade, raggiunge luoghi, incontra uomini che nessuno mai immaginerebbe e prenderebbe in considerazione come adeguati a Lui.
Ma è consolante vedere che la Misericordia trova una strada e una casa, una alternativa. Il Regno di Dio subisce violenza ed è il più piccolo dei semi, ma cresce inesorabile come il lievito nella pasta.
3. Non si limita a respingere il male, a contenerlo o a tamponarlo. Le parole riservate al ladrone sono parole di Resurrezione vere a proprie, parole che costruiscono e danno vita.
La Misericordia non è un artificiere che disinnesca un potenziale distruttivo e nemmeno un restauratore che rappezza un deterioramento.
La Misericordia genera in ogni oggi a una vita che è sempre nuova, a fronte di ciò che vorrebbe distruggerla. Crea armonia, bellezza, pace... là dove paiono impossibili.
Qualche spunto di riflessione personale.
1.
La Misericordia è motore del presente e del futuro e concreta alleata della vita. La tocchiamo con mano ogni volta che costruiamo qualcosa, che diamo origine a un percorso nuovo, che perseveriamo in ciò in cui siamo impegnati. Cercare il Regno di Dio e sperimentare la Misericordia all'opera significa anche farsi alleati seri e determinati di questa potenza costruttiva che c'è in atto nella Storia e che ci sollecita e interpella attraverso i nostri desideri, sogni, progetti.
2.
La Misericordia è il segno più forte del Dio «in uscita», del Dio estroverso. Spesso situazioni negative, brutte esperienze, delusioni di vario genere ci spingono ad alzare bandiera bianca e a rinchiuderci in prigioni rancorose o cariche di rimpianti nelle quali spesso e volentieri ci accomodiamo per non fare la fatica dell'«esodo» da noi stessi. Occorre imparare, proprio in quelle situazione, ad ascoltare la voce della Misericordia che chiama fuori per andare altrove.
3.
Non c'è modo più evangelico di temere Dio che forzarLo a manifestarsi per quel che è. Al Padre dobbiamo chiedere. La domanda nei Suoi confronti è un "dovere di fede" al quale non dobbiamo venire meno ma, allo stesso tempo, è necessario sempre interrogarci se il nostro modo di chiedere è frutto del desiderio di una Sua sempre più autentica manifestazione.