«Rialzatevi e sollevate il capo». L’Avvento tra Bibbia e B. Springsteen
La prima domenica d'Avvento ambrosiano è intitolata «La venuta del Signore». Ne approfondiamo qui il significato, con una meditazione evangelica e l'ascolto guidato di 4 pezzi di B. Springsteen. Primo di sei interventi proposti alla Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Lecco.
La venuta del Signore. Secondo il Vangelo.
Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, il Signore Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». (Lc 21, 5-28)
ASCOLTA L’INTERVENTO:
Il mondo crolla? Alzate la testa.
Ci troviamo alle soglie dell’ultima Pasqua terrena di Gesù. Siamo a Gerusalemme, nel cortile del Tempio. Il clima è estremamente teso a causa dell’ormai incandescente conflittualità con i capi del popolo e l’esito della vicenda è ormai chiaro.
In questo contesto che sa di dramma, di conflitto e di morte imminente, Luca colloca un lungo discorso dai toni apocalittici in cui tratta la fine delle cose con i drammi che l’accompagnano, offrendo una prospettiva per interpretarli e affrontarli.
Sono due i poli su cui si articolano le parole profetiche e di ammonizione di Gesù: la storia e la venuta del Signore.
Alla prima è dedicato un ampio spazio narrativo, nel quale vediamo riflettersi l’esperienza della prima comunità cristiana alle prese con i grandi eventi storici del tempo.
Troviamo così le persecuzioni, la comparsa dei falsi profeti, i conflitti familiari, le catastrofi naturali, le guerre, la distruzione di Gerusalemme. Il tutto inframmezzato da raccomandazioni, consigli, inviti alla perseveranza e indicazioni precise sull’atteggiamento da tenere.
Al preannuncio del crollo del Tempio che apre il discorso, segue una serie angosciante di altri crolli. Ci sono crolli materiali, morali, sociali, spirituali. È La fine delle cose e lo sconvolgimento degli ordini.
Ma, in realtà, è solo lo scorrere della Storia con i suoi drammi, quelli causati dall’uomo e quelli legati alla caducità della natura.
Nel racconto di un frammento temporale ristretto troviamo la Storia intera in particolare modo nei suoi aspetti più tragici. Ogni epoca può facilmente rispecchiarsi nel quadro da brividi che Gesù traccia: la fine delle cose, il conflitto e il dramma accompagnano tutto lo svolgersi delle vicende umane.
In questo ammasso di rovine, appare in coda l’altro polo del discorso: proprio nell’imperversare di segni che parlano di assenza di Dio, che spingono alla fuga disperata e al ripiegamento rassegnato, viene il Figlio dell’uomo.
Le prime comunità cristiane speravano nell’imminente apparizione improvvisa e folgorante del Risorto (la cosiddetta parusia = presenza), che mettesse fine alla storia per inaugurare il tempo finale di pace e giustizia. Nell’immagine, presa in prestito da Dan 7, 13, del Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo si riflette quell’attesa.
La prospettiva è escatologica, ma l’affiancamento alla narrazione precedente chiede di guardare al tempo storico quale situazione stabilmente abitata dal Signore. Quale ambito, cioè, non solo del ritorno finale del Signore, ma anche della sua ordinaria venuta e della sua costante presenza.
D’altra parte, Luca ha particolarmente a cuore la sottolineatura dell’«oggi» della salvezza, cioè del fatto che il momento presente sia il luogo in cui incontrare il Signore che viene: lo vediamo nella sinagoga di Nazareth («Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”» Lc 4, 21), con la guarigione del paralitico («Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: "Oggi abbiamo visto cose prodigiose”.» Lc 5, 21), da Zaccheo («Gesù gli rispose: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.» Lc 19, 9-10), sulla croce («Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.» Lc 23, 43).
È anzitutto l’«oggi» di ciascuno ad essere segnato dal passaggio del Signore, paradossalmente proprio in mezzo ai crolli che sembrano denunciare la sua assenza.
Luca invita coloro che cercano il Signore in mezzo ai drammi del loro tempo a «raddrizzarsi», a sollevare la testa, a mettersi in piedi. È la posizione di chi è vivo, di chi è libero, di chi è pronto a camminare, di chi è disposto a lavorare, di chi fronteggia con determinazione ciò che gli accade attorno.
È suggestivo che Lc utilizzi la stessa espressione impiegata nel racconto della guarigione della donna curva («Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: "Donna, sei liberata dalla tua malattia". Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.» Lc 13, 12-13).
Il piegarsi di fronte agli aspetti tragici della storia è forse una forma di malattia spirituale da cui essere liberati? È un invito a risorgere quel «risollevatevi ed alzate il capo»?
Se il termine tecnico non è quello della resurrezione, il contrasto con il mondo in rovina spinge in un certo senso a dire di sì, se non altro consente di affermare che la presenza del Signore ha strettamente a che fare con chi rialza la testa mentre tutto crolla.
Il suo passaggio è un fenomeno di liberazione, in special modo di chi è oppresso, inseguito dalla morte e dal disfarsi delle cose, materiali e non. In ogni occasione in cui avviene il ribaltamento della morte in vita e dell’oppressione in libertà - il “raddrizzarsi di ciò che è curvo” - il Signore viene.
Gesù che ristruttura l’umano in rovina.
D’altra parte comincia proprio così la storia di salvezza nel Vangelo di Luca, con il canto del Magnificat in cui si celebrano le vicende umane come luogo in cui Dio opera costantemente prodigiosi ribaltamenti: «Ha rovesciato i potenti… ha innalzato gli umili… ha ricolmato di beni gli affamati… ha rimandato a mani vuote i ricchi…».
La voce di Maria canta il capovolgimento in atto nella storia, lo stesso, delle beatitudini, il medesimo della Pasqua che sarà di suo figlio. Un capovolgimento che nella sostanza è una ribellione alla legge della morte e a quei sistemi di potere (politici, economici, religiosi) che ne fanno uso per affermarsi.
Fuori dalle immagini: in chi incarna tutto questo, il Regno viene, il Signore viene, la Salvezza avviene.
Quando è poi lo stesso Gesù a prendere parola e a cominciare ad agire, lo vediamo dare carne a tutto questo. Osservando cosa solleva il suo passaggio, possiamo comprendere meglio cosa sia la «venuta del Signore» e in cosa consista quel «sollevare il capo».
Nell’esordio della sinagoga di Nazaret, già citato, troviamo una sorta di discorso programmatico:
Aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore. Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". (Lc 4, 16-20)
Gesù si riconosce nell’unto del Signore di cui parla Isaia. La sua vita è vissuta sull’impronta di quella parola. Così l’incontro con lui diventa l’«oggi» di quell’annuncio.
È un programma di riscatto, di liberazione, di guarigione, di grazia. Un impegno a ristabilire in piena dignità chi l’ha perduta e a lottare contro ciò che manda la persona in rovina: il male fatto, il male subito.
Un forza di vita in espansione là dove c’è schiacciamento e involuzione. Per grazia, cioè senza apertura di debiti vincolanti e condizionanti ma piuttosto di crediti di vita e di opportunità.
La sua presenza e la sua azione sono sempre un «sabato», un giorno in cui si fa memoria, si tocca con mano e ci si prende la responsabilità dell’intenzione di salvezza di Dio. Lui fa di ogni «oggi» un giorno del Signore in cui festeggiare la sua volontà di bene praticandola in prima persona.
L’episodio della donna curva guarita in giorno di sabato è esemplare.
Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. (Lc 13, 10-16)
La donna è «incapace di raddrizzarsi completamente». Lo stare in posizione eretta, unito alla vista, al discernimento e alla parola, era un elemento che distingueva l’uomo dagli animali avvicinandolo agli angeli.
La donna si trovava privata di una parte della sua umanità e di un elemento di contatto con il divino.
È una situazione che simbolizza l’involuzione, il ripiegamento su se stessi che spinge la persona in una spirale autoavvolgente da cui non ci si libera più.
L’intervento di Gesù non è solo una guarigione materiale ma una ricostruzione anche spirituale della persona. È guarito il corpo e contemporaneamente la possibilità di rivolgersi al cielo, dunque di alimentare la speranza e diventare protagonista a sua volta dell’azione di liberazione e riscatto che Dio ha compiuto in lei.
Se la donna è segnata da una ferita che depotenzia le sue possibilità di vita, l’indemoniato che Gesù incontra a Gerasa non ha più nulla di umano.
Nudo come un animale, si aggira per le tombe come un morto, in preda a forze autodistruttive e impossibili da governare, privato di ogni forma di socialità se non quella di chi tenta di imprigionarlo.
Era appena sceso a terra, quando dalla città gli venne incontro un uomo posseduto dai demòni. Da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma in mezzo alle tombe. Gesù aveva ordinato allo spirito impuro di uscire da quell'uomo. Molte volte infatti si era impossessato di lui; allora lo tenevano chiuso, legato con catene e con i ceppi ai piedi, ma egli spezzava i legami e veniva spinto dal demonio in luoghi deserti. (Lc 8, 27-33.34)
Il passaggio di Gesù è emblematico: entra dentro la morte, nei territori dove non c’è vita ma solo desolazione; intesse un dialogo con uno che quale unica modalità di relazione ha la violenza e la devastazione.
Dall’interno del regno di morte, dall’immersione in quel mare di male esce portando con sé l’uomo integralmente ricostruito, padrone di sé e seduto ai suoi piedi nella posizione del discepolo.
È come un battesimo che Gesù affronta, addentrandosi nei territori del confine tra la morte e la vita, tra la perdizione e la salvezza.
C’è un altro episodio con un’altra donna in cui lo vediamo addentrarsi dentro territori considerati maledetti e che altri hanno già battezzato come perduti, senza speranza.
Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Poi disse a lei: "I tuoi peccati sono perdonati". Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: "Chi è costui che perdona anche i peccati?". 50Ma egli disse alla donna: "La tua fede ti ha salvata; va' in pace!". (Lc 7, 37-38.48-50)
Il padrone di casa l’aveva marchiata con il suo giudizio morale - «Costei è una peccatrice» - chiudendo ogni possibile percorso di ricostruzione.
Gesù si lascia toccare, oltretutto accettando il linguaggio scabroso e ambiguo dei gesti della donna.
È così che entra delicatamente in una vita usata e abusata, un’umanità sfruttata e spersonalizzata dall’essere trattata come mero oggetto di piacere.
Lasciandosi portare dai gesti della donna, scopre e riconosce che dentro lo sfascio di quella vita, lei non ha smesso di custodire e costruire quella dignità umana assoluta che sta nell’amare. Sotto le rovine c’è vita.
Il perdono dei peccati non risulta così un premio ma la dichiarazione della libertà dal male a cui la donna, amando, è giunta.
Dunque anche laddove il male commesso è palese e meriterebbe solo condanna e sentenza di castigo, non c’è spazio in lui per alcuna alleanza con la morte e la distruzione della persona.
È per questo che reagisce bruscamente ai discepoli la volta in cui desiderano compiere in nome del cielo una rappresaglia contro i samaritani, rei di non averli accolti.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?". Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. (Lc 9, 54-56)
L’ostilità per i discepoli non pare accettabile, essa va respinta e cancellata, non sono disposti ad entrare dentro il rifiuto, dentro l’esperienza di non essere riconosciuti.
Non credono alla possibilità di elaborare positivamente il fallimento della loro missione, come se nella sconfitta non vi fosse alcuna opportunità di rigenerazione. Cercano piuttosto una vittoria, una manifestazione di potenza che lascerebbe, però, solo altre macerie.
Ma la strada del loro Maestro è una manifestazione di debolezza, non di potenza. È l’accettazione della morte come parte della vita, seppur come parola penultima. Se c’è un crollo, con lui lo si attraversa, si alza la testa e si continua a costruire.
Credo che possa essere letta in questi termini l’esclamazione che Gesù fa dopo aver raccontato la parabola dei servi fedeli che vigilano operosi: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!» (Lc 12, 49-50).
È il fuoco di chi crede ostinatamente e attivamente alla vita. È il battesimo di chi si immerge dentro la fragilità della condizione umana e dentro le situazioni mortali per rigenerare e rivivificare. È lo stare costantemente tra la vita e la morte costruendo l’una mentre si guarda in faccia l’altra.
Sulla Croce, infine, tutto diventa più chiaro. Il morire e rinascere, l’entrare nella morte e far sorgere la vita, raccogliere la fine e far spuntare un inizio.
Uno dei malfattori disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso". (Lc 23, 39-43)
In sintesi: nella sua venuta e nel suo passaggio, Gesù si dà da fare perché si veda fin da principio la Pasqua all’opera in Lui.
Dentro i crolli della storia viene come una resurrezione. Dentro i crolli personali passa come un perdono. Dentro le malattie mortali giunge come una guarigione. Dentro la schiavitù del male viene come una liberazione. Dentro il rifiuto viene come una porta lasciata aperta.
Da questa prospettiva si possono leggere la Sapienza che lo Spirito donerà, la perseveranza che si dovrà avere e anche quel raddrizzarsi con cui si deve rispondere della venuta del Signore.
La Sapienza che viene data non è una teoria infallibile utile alla schermaglia dialettica, bensì un concreto modo affrontare il mondo che va in rovina, ostinandosi a guardare oltre i crolli e credendo nella vita più che nella morte. E la perseveranza è dunque di chi persiste nel costruire rizzandosi in piedi mentre impazza il «si salvi chi può».
Quando il Signore viene accadono queste miriadi di Pasque e in queste miriadi di Pasque il Signore viene.
È il battesimo cristiano nel senso più proprio e non meramente rituale. La decisione di tuffarsi nelle rovine mortali del mondo, professando la propria fede nella potenza di una vita che ostinatamente si rigenera senza fine.
Non v’è chi non veda quanto tutto questo sia estremamente e potentissimamente attuale. Stare in questo mondo, tuffarsi in quest’oggi, come forze di ricostruzione instancabile è il battesimo quotidiano che possiamo e dobbiamo celebrare.
«Rialzare la testa» secondo B. Springsteen.
ASCOLTA LA REGISTRAZIONE DELL’ASCOLTO GUIDATO:
QUI I TESTI E LA TRADUZIONE:
«Risollevatevi e alzate il capo»
The rising e Into the fire.
(dall’album The Rising, 30 luglio 2002, Columbia Records)
Dopo l’attacco alle torri gemelle Springsteen si sente gridare da un fan: «Ehi, abbiamo bisogno di te».
Da lì nasce The Rising, un album costruito sul dolore e sulla sua elaborazione, nel quale, dice Springsteen, le strofe dei pezzi sono blues e il ritornello gospel.
Cioè la messa a tema della sofferenza e della sua elaborazione - il blues - un immergersi dentro il dolore, guardarlo in faccia, parteciparlo.
E c’è lo slancio vivificante, la parola che getta il cuore oltre l’ostacolo, la prospettiva di fede, il cielo che invia il suo tempo di grazia. Ilgospel.
Springsteen tenta con la sua musica di dare corpo al dolore, alla perdita, al lutto, allo stare davanti alle rovine delle torri gemelle. E lo fa piantando un seme di resurrezione.
Tutto l’album corre sull’orlo che separa la vita dalla morte, lì dove i volti si perdono e si ritrovano, dove il presente e il passato sfumano l’uno nell’altro.
La sua elaborazione procede ponendo l’accento sulle vicende personali all’interno di quella collettiva. Il dolore del singolo è quello di tutti e viceversa. C’è una responsabilità individuale nel rialzarsi, ma occorre un terreno collettivo sui cui poggiarsi.
Le immagini sono quelle dell’apocalisse evangelica: il cielo color sangue è vuoto, fatto di oscurità e terrore, le stelle cadono, il sangue irrora la terra.
Ma ad esse si alternano immagini di ascensione, di salita, di resurrezione, di ribellione, di amore, di eroismo, di riscatto e ricostruzione.
Scrive nella sua autobiografia riguardo all’11 settembre:
«Tra le tante immagini tragiche di quella giornata, ce n'era una in particolare che non riuscivo a togliermi dalla testa: quella dei soccorritori che salivano mentre gli altri scendevano di corsa per salvarsi. Quale senso del dovere, quale coraggio c'era dietro quell'ascesa verso... che cosa? L'immagine religiosa dell'Ascensione, il superamento del confine tra questo mondo, un mondo fatto di sangue, lavoro, famiglia, figli, fiato nei polmoni, terra sotto i piedi, tutto ciò che è vita, e... l'altro mondo: queste idee mi ingolfavano la mente. Per chi ama la vita o qualsiasi sua parte, la profondità del loro sacrificio è impensabile e incomprensibile, eppure è un lascito concreto. Insieme alla rabbia, al dolore e al lutto, la morte apre una finestra di possibilità per i vivi, rimuovendo il velo che “l’ordinario" ci posa delicatamente sullo sguardo. Aprirci gli occhi è l'ultimo, amorevole dono del martire».
A queste figure dedica due pezzi gemelli che raccontano la vicenda di due pompieri morti e dei loro cari che li piangono e commemorano.
Nel primo è il pompiere stesso che racconta, nel secondo è la vedova che parla. Le due vicende sono costruite sugli stessi capisaldi: l’offerta della vita, l’amore come cammino di ascensione, l’eredità testimoniale da raccogliere.
In entrambe c’è un singolo che parla, un secondo a cui si rivolge e un coro che guarda e commenta: non è l’eroe solitario ma un popolo fatto di individui. Il dolore è di tutti, la forza anche, la rinascita pure. L’offerta di sé è il testamento lasciato che diventa poi preghiera litanica.
L’icona prevalente è il penetrare dentro l’oscurità, il camminare verso la morte per amore e lì incontrare la Luce/Fuoco (simbolo del divino), ma anche diventare luce/fuoco a propria volta, risplendendo di quella Luce/Fuoco per altri.
È l’immagine battesimale, vita dalla morte, morte che sconfina nella vita. Il sangue in cui affondare e che ritorna nei testi ne è l’immagine forte. Il battesimo di chi ha il coraggio di stare sul crinale che separa e unisce vita e morte.
Allo stesso tempo è un’immagine fortemente cristica della salita al Calvario. Il primo pompiere parla della chiamata di emergenza come di una croce da portare. La vedova vede il marito morire per un dovere più alto.
Su tutto prevale un sogno di vita intuito in un cielo ambiguo. È la ragione del rialzarsi mentre tutto finisce, perché il Signore viene.
Nel primo pezzo - The Rising - c’è tutta l’energia e la forza di chi si assume la responsabilità di salvare altri offrendo se stesso. Consapevole del proprio gesto chiede di essere lavato dal sangue delle altre vittime e di essere accolto dalla luce di Dio.
La forza che si sprigiona dal suo esempio deve essere raccolta e diventare energia per una collettiva resurrezione.
Nel secondo brano - Into the fire - la narrazione si fa più rarefatta e si procede più per evocazione emotiva che per narrazione.
La sensazione è di entrare, insieme alla vedova che piange il marito, dentro le sensazioni e i ricordi procedendo per suggestioni appena accennate. Un modo rispettoso, evocativo ed estremamente empatico.
Si ascolta il dolore della donna tornare a ondate e colpirla con l’immagine del marito che sale per le scale sparendo da qualche parte lassù.
Parole che parlano di perdita ma anche della certezza di una vita che prosegue da qualche parte più in alto, oltre quelle scale. E la donna resta spaccata tra il bisogno della presenza, di un bacio, della vicinanza e la fiera consapevolezza che è stata l’obbedienza al dovere e all’amore che le hanno strappato il marito.
Così se in The Rising è il pompiere a guardare la luce di Dio, qui è il pompiere stesso a diventare luce per la moglie e per tutti gli altri.
Da qui il coro che sente il dovere di raccogliere il testimone con una preghiera litanica che dice la speranza di stare a testa alta sul confine tra morte e vita allo stesso modo.
Spare parts
(dall’album Tunnel of love, 9 ottobre 1987, Columbia Records)
Nel 1985 Springsteen sposa segretamente Julianne Phillips e si butta con impegno nella vita matrimoniale che per lui è inizialmente occasione di stabilità e rifugio dai demoni interiori che da sempre lo inseguono.
Presto le cose cominciano però a non funzionare e le fatiche della vita di coppia diventano più pesanti di quanto lui potesse immaginare.
Inizia un flirt con Patti Scialfa, una corista della E-Street Band, che dapprima considera una semplice avventura ma che rapidamente si trasforma ne “la avventura”, come dice nell’autobiografia.
In quel contesto di travaglio amoroso nasce un album - il primo - interamente dedicato all’amore e si suoi intrecci. Bruce racconta ed elabora, cerca un’auto-guarigione e insieme un percorso di comprensione.
Per questo è un album nella sostanza solista, autobiografico seppur con aspirazioni universalistiche, che registra praticamente da solo, da polistrumentista, lasciando alla band solo piccoli spazi di intervento.
Il clima è agrodolce e lui ne esce come uomo tormentato, disperato e irrisolto. Non ha romanticizzato l’amore, anch’esso dipinto invece tra rovine e bellezze.
Gestirà malissimo la separazione con la prima moglie e ne avrà enormi sensi di colpa per il dolore provocato. Non è affatto un caso che le figure maschili dell’album siano inseguite spesso da demoni ululanti delle loro responsabilità.
Spare parts è la storia di una donna lasciata da parte da un uomo troppo codardo per fare il padre e il marito. È la storia delle macerie di un amore e anche di una vita («Perché la mia vita è tutta un grosso errore?» si domanda la protagonista) in cui si narra ancora il sottile confine che separa la vita dalla morte e di come l’esistenza sia una costante corsa su quel crinale in cui si viene interpellati sulla parte da cui ci si vuole schierare.
Torna ancora forte l’immagine battesimale, stavolta con un fiume in cui Janey, la protagonista, si immerge con il suo piccolo presa dalla tentazione di liberarsene come già aveva fatto un’altra madre di una città vicina.
Nonostante avessero programmato il matrimonio, Bobby - il fidanzato - se ne fugge nel sud del Texas, facendo sapere, una volta nato il bambino, che non vuole più saperne di entrambi.
Usata e gettata via come un pezzo inutilizzabile, Janey è drammaticamente tentata di fare lo stesso, distruggendo una vita per cercare in qualche modo di salvare la propria.
Da quel fiume esce però con una vita nuova in mano, rimettendo al mondo il figlio come un novello Mosè salvato dalle acque, e rimettendo al mondo se stessa in una nuova esistenza.
L’immagine della donna non è carica dell’eroismo scintillante dei pompieri di The rising. C’è la macchia di essere stata a un passo dalla dannazione spaventosa dell’infanticidio.
In lei si sente tutta la fragilità e la sottigliezza del confine che passa tra dannazione e redenzione, tra perdersi e riscattarsi.
Anche la donna drizza la testa, ma non è un atto di potenza bensì un gesto fragile pur in tutta la sua forza. Qualcosa che somiglia davvero da vicino al Cristo che fino all’ultimo avverte la tentazione di cedere anche lui alle logiche di morte.
Il titolo, più che «pezzi di ricambio» sarebbe dunque da tradurre con «pezzi spaiati», quelli abbandonati da qualcuno perché apparentemente inutilizzabili. Sono quei pezzi, dice il ritornello, che in realtà tengono in piedi il mondo, al pari dei cuori spezzati.
Land of hope and dreams
(dall’album Wrecking Ball, 6 marzo 2012, Columbia Records)
Nel 2012 Springsteen pubblica un album che fa molto discutere per i contenuti di accusa sociale che porta. Il Boss è rabbioso per gli effetti della crisi finanziaria degli anni precedenti che ancora sta colpendo la working-class, da sempre stata la sua classe di riferimento.
Si scaglia contro gli speculatori di Wall Street e contro chi nell’America post-industriale ha infierito sul ceto medio sposando scriteriatamente il capitalismo, tradendo l’ideale del sogno americano e la fiducia nel paese della povera gente. Sul campo ci sono molti cadaveri e un livello di disuguaglianza sociale da fine Ottocento.
Bruce pesca nel repertorio di pezzi scritti negli anni e mai pubblicati per dar corpo a un album potente come quelle palle di cemento utilizzate per demolire: le «Wrecking Ball».
Tra le canzoni, ne aveva una del 1999, un pezzo in cui aveva fuso un brano di Woodie Guthrie, Bound for Glory e uno di Broozny, This train.
È un pezzo fortemente Gospel carico dell’immagine biblica del Regno, della terra promessa, dei luoghi/tempi messianici di pace e di speranza.
Un pezzo dalle fortissime sfumature escatologiche, giocato tutto sull’immagine del treno di passaggio che carica passeggeri per una terra in cui, finalmente, si godrà del compiersi dei sogni.
Il riferimento è alle cosiddette train songs, le canzoni che gli schiavi di colore del Nord America utilizzavano per scambiarsi informazioni in codice circa la Underground Railroad (una rete segreta messa insieme dagli abolizionisti all’inizio dell’800 per favorire la fuga verso gli stati liberi, il Canada e il Messico).
Così è il Regno di Dio che scorre nella storia e raccoglie ogni genere di umanità, facendo rialzare la testa soprattutto a chi è stato schiacciato dai mali della storia.
Qui c’è una strada per raggiungere la salvezza. Non servono raccomandazioni, non serve il biglietto, non serve bagaglio. Basta salire e c’è posto per tutti (contrariamente a quanto scrivevano Guthrie e Broozny): santi, peccatori, prostitute, re, sciocchi, giocatori d’azzardo.
Una carovana sfacciatamente evangelica che raccoglie chiunque voglia salire, per la quale non c’è altro da fare che rialzarsi e rendere grazie a Dio.