Raccontare il Vangelo. Ecco che cosa può fare un prete per godersi il crepuscolo di questo tempo e farlo godere al mondo. No, non insegnare. Solo raccontare. Che il racconto ha più il sapore del dono gratuito, quale il Vangelo è.
Mi hanno chiesto a cosa serve un prete in un tempo di cambiamento per la Chiesa come questo. Ho risposto così.
Dicono che questo, per la Chiesa, sia un tempo di cambiamento.
Forse solo perché non hanno il coraggio di dire che quello che stiamo vivendo è, invece, un crepuscolo.
Non stanno semplicemente mutando le forme, i modi, i tempi della partecipazione alla vita della Chiesa.
Non sta evolvendo lo stabilirsi delle sue strutture, l’esercizio del suo ruolo pubblico, il suo organizzarsi per animare la vita religiosa e civile dei paesi e delle città.
Quel che viviamo è una fine.
Molte di queste cose stanno letteralmente finendo. Dire che stanno cambiando forse consola, ma non permette di vedere bene quel che sta accadendo.
Certo, si può scegliere di camminare ad occhi chiusi, senza guardare in faccia quel che realmente sta succedendo. Col rischio, però, di sbattere.
Meglio, forse, tenere gli occhi aperti e chiamare questo tempo col suo nome.
Questo è un tramonto.
I tramonti, tra l’altro, sono una bella cosa.
E la natura spesso ce lo ricorda dipingendoli di colori straordinari.
Sono belli perché sanno di compimento e insieme di promessa.
Il "già" e il "non ancora", proprio come quello del Regno di Dio che viene, che è vicino e che verrà.
E poi, il tramonto è il momento in cui si torna a casa, si ritrovano le intimità, si sospende il lavoro, si ringrazia per la giornata vissuta.
Si attende, infine, il giusto riposo della notte, sicuri che l’alba non mancherà di sorgere, con tutto ciò che di nuovo il giorno seguente porterà.
Godiamocelo questo tempo di tramonto nella vita della Chiesa.
È un tempo bello.
E l’alba - che è nelle mani di un Altro - sorgerà a prescindere dal nostro affannarci a “gestire il cambiamento”.
Goderselo potrebbe voler dire anche tornare a fare ciò che una volta si faceva in quei tramonti in cui non c’erano troppi impegni serali - mediatici o no - a riempire il prima e dopo cena.
Raccontare. Narrare storie accadute, storie inventate, storie sognate. Narrare la Storia. E poi le tradizioni, le abitudini, le usanze. La Tradizione. E ancora consegnarsi il sapere popolare, le saggezze buone della vita, il patrimonio dei proverbi. La Sapienza. Raccontare il Vangelo.
Ecco che cosa può fare un prete per godersi il crepuscolo di questo tempo e farlo godere al mondo. No, non insegnare. Solo raccontare.
Che il racconto ha più il sapore del dono gratuito. Mentre l’insegnamento conserva sempre l’aroma pretenziosa del voler essere imparato e infine applicato.
E noi - noi preti - siamo stati più impegnati a voler insegnare che a dedicarci a narrare.
D’altronde insegnare è sempre l’esercizio di un potere, l’attesa di un risultato. E il potere ha pur sempre il suo fascino.
Raccontare è invece una forma dolce di fragilità: quella di chi consegna una cosa non sua, sapendo di non esserne padrone e di non poter governare ciò che poi accadrà.
Narrare il Vangelo.
Vuol dire, in fondo, permettergli di essere quel che è: la narrazione del Volto di Dio e del suo ordinario offrire la Vita all’uomo.
Un prete può smettere, in questo crepuscolo, di fare essere il Vangelo una “scienza”, una teoria, un sistema di pensiero, un motore organizzativo, un pianificatore di agende, l’agente delle sue attività ordinarie.
Può rinunciare a prendere il mano la Buona Novella solo per ispirare il calendario delle attività parrocchiali, per arricchire la dispensa dei precetti morali da usare al bisogno, per pescare la ricetta vincente della pastorale ordinaria.
Può tornare semplicemente a rispettare il mandato originale: annunciate! Narrate.
E permettere alla Parola di Cristo di essere un seme gettato senza pretese né attese, ma dallo spiccato odore di vita, di carne, di sangue, di sudore, di gioie e di dolori, di peccati e di salvezze.
Qualcuno ascolterà e ricorderà.
Qualcuno sbadiglierà e si addormenterà.
Qualcuno borbotterà e si girerà dall’altra parte.
E andrà bene così.
C’è da essere umili a raccontare il Vangelo.
Lasciar perdere le proprie gesta e narrare quelle di un Altro.
Mica poco.
Voce della Storia di un Altro.
Servi nel senso più vero della parola.
Che bello, però, un cristiano così.