«Prendete e mangiate». Di umanità e fame di Vita.
Pensieri della sera in Coena Domini.
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«Prendete e mangiate», dice loro.
Prendete senza timore.
Senza il dovere di esserne degni.
Anche senza capire, che non sempre serve.
Senza condizioni, perché sia per sempre.
Prendete non con timidezza ma con determinazione.
Non siate passivi e imbarazzati come chi non sa se può osare.
Il verbo usato da Matteo non lascia dubbi: quel pane bisogna rubarglielo dalle mani.
Fatelo con decisione, con desiderio, perfino con forza.
Il volto di Dio è un uomo che dice: «Prendete».
Bisogna prendere un corpo.
Ma è tutta una storia, una sapienza, un bagaglio infinito di azioni, sogni, sentimenti, idee, progetti, desideri, relazioni.
Una lunga catena che, anche per Gesù, è stata di successi e fallimenti, di altezze inarrivabili e di feriali banalità, di fatiche e di gioie, di speranze e di paure.
«Prendete» dice «Prendete questa vita».
È la vita di un uomo.
È la vita del Figlio.
È la vita di Dio.
È la Vita.
Tutta.
Quella di cui viviamo, per la quale esistiamo, nella quale ci muoviamo.
In quel comando c'è la Vita che viene incontro.
E la memoria di Lui è anzitutto «prendere la Vita».
Lui l'ha fatto.
Se l'è presa e l'ha fatta sua.
Le ha dato un contorno, una forma, un suono, un sapore.
«Non s'era mai vista una Vita così», dicono di lui nel momento in cui la mostra senza più velo alcuno.
Perché «dare» - il suo verbo preferito - è il modo più paradossale del prendere la Vita.
«Prendete» e poi «Mangiate».
Saziatevi, gustate, nutritevi.
Non vergognatevi della fame di Vita, non nascondetela, non sopprimetela.
Seguitela invece, nella sua potente spinta a cercare, andare, muovere, fare.
Lasciate che vi ispiri quella fame che non vi dà pace e vi impedisce di bastare a voi stessi.
Che vi chiama a progredire, a cercare il meglio, a realizzare cose più grandi di quelle che si possano sognare.
La conosce bene Lui quella fame.
L'ha mosso a scavare nel profondo di sé, dell'umanità del suo tempo e delle pieghe della storia, fino a trovare quella sorgente che sempre dona e ridona Vita.
Quella che amava chiamare «il Regno».
La forza vitale e amante del Padre di tutti.
Della fame di Vita conosce bene anche tutto il potenziale distruttivo.
Il suo spingere a prendere per manipolare, violare, pervertire.
Fino a essere disposti a tutto pur di continuare ad avere e consumare senza criterio né misura.
Aggredire e sbranare.
In preda a una brama cieca che fa mangiare anche i sassi.
Anche gli altri.
Anche Dio.
La fame è fame e «Se sei Figlio di Dio…» non hai il dovere di porti alcun limite.
Puoi prendere e mangiare senza preoccuparti di rispettare l'unica raccomandazione data fin dalle origini rispetto alla fame: governatela o vi farà a pezzi insieme a tutto ciò che consumerete.
L'albero del primo giardino era un monito chiaro circa il potenziale distruttivo della fame di Vita.
Desiderate la vita, cercatela, assaporatela, non fatevi scrupolo di prenderne a piene mani e di goderne nella misura maggiore possibile.
Così aveva detto di fare, anzitutto, il Creatore.
Ma rispettatela nel suo darsi a tutti e per tutti e nessuno mai osi pretenderla tutta per sé.
Accettatela nei suoi modi, nei suoi tempi, nella sua autonomia.
Prendete imparando ad accettare e ad accogliere la Vita per come si consegna a voi.
«Prendete e mangiate» dice il Cristo ai suoi.
È la sua vita, è la Vita ma secondo la forma che Lui le ha dato.
Bisogna cogliere l'offerta, accettando che Lui abbia scelto il momento, il modo, il senso.
Di quella Vita si può farne ciò che si vuole, ma per esserne davvero saziati occorre riconoscerla per ciò che è.
La fame deve abituarsi al gusto, deve modellarsi sul tempo, deve accogliere la forma.
Deve accettare il dialogo, adattarsi e adattare, porsi il limite dello stare in relazione.
Oppure resterà fame e la brama sarà sempre più insaziabile.
Qualcuno cede al delirio dell'inseguire la Vita senza criterio.
Il prendere si fa violenza e abuso.
Afferra e consegna.
Il dono diventa commercio, l’offerta una tratta umana.
Per ciascuno che si illude così di saziarsi, altri ne fanno le spese morendo di quella fame.
Come il Cristo che mentre si «prende la Vita» facendosi dono si vede tradito e derubato.
Scoppierà irresistibile desiderio nel Getsemani, in quel grido disperato di chi subisce l'ingiustizia e muore di inedia.
La Vita che viene incontro e ti si offre.
La fame che spinge a bramarla.
Le circostanze che chiedono di adattarsi e rispettare la Vita nel suo darsi.
Qualcuno che fa violenza in preda a una fame delirante.
L'altro che sentirà la sete di Vita fino a morirne.
Tutto questo c’è nella prima delle Eucaristie.
In quel pane - in quel corpo - c'è tutta l'umanità e la sua storia, drammatica e meravigliosa, di cercatrice di Vita.
E c’è il suo Dio - vivificante e amante - che le viene incontro.
Per questo c'è un'Eucarestia che accade quotidianamente in ogni uomo o donna che cerca Vita.
Che si misura con il dovere di accoglierla per come essa si dona.
Che patisce la fame per la troppa avidità altrui.
Che si prende la sua parte e le dà forma, colore, suono, sapore sull'esempio del Cristo.
Perfino in chi, come Giuda, si abbandona alla bramosia di prendere e consumare senza scrupoli e ritegni.
Così l'Eucarestia è sempre e soltanto il pane di tutti.
Oppure non lo è mai.