Marta si ostina. Maria discerne. La prima rifiuta il dono della libertà. La seconda lo ha accolto e sa scegliere.
Mentre erano in cammino Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo ricevette in casa sua. Marta aveva una sorella chiamata Maria, la quale sedutasi ai piedi di Gesù ascoltava la sua parola. Ma Marta tutta presa dalle faccende domestiche venne e disse: Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servirti? Dille dunque che mi aiuti. Ma il Signore le rispose: Marta, Marta, tu ti affanni e sei agitata per molte cose. Ma una sola cosa è necessaria: Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta. (Lc 10, 38-42)
INDICE DELLA LECTIO:
1. Il contesto del brano.
2. Le donne al tempo di Gesù.
3. Le due sorelle.
4. Gesù.
Contesto del brano.
È appena iniziato il viaggio verso Gerusalemme, che Gesù intraprende alla fine del capitolo 9 con determinazione ferma. Tutto ciò che viene raccontato in seguito da Luca va dunque compreso nel prospettiva del compimento pasquale. Ma cosa significa e che di che tipo di compimento si tratta?
Gesù aveva preannunciato nella sinagoga di Nazaret la qualità della sua missione: guarigione, riconciliazione, perdono, grazia, consolazione, liberazione sono le parole chiave di tutto il suo agire.
In seguito le sue opere e le sue parole traducono il discorso programmatico: l'annuncio del «Regno di Dio» è un'opera di guarigione e liberazione, insieme a una parola di misericordia e compassione. Il volto di Dio, finalmente, appare come il volto di un Padre buono che non intende condannare e castigare alcuno dei suoi figli.
Nel suo annuncio trova resistenza e si rende conto che se vorrà annunciare quel volto di Dio, deve prepararsi a pagarla cara, perfino con la vita. Decide di farlo e la sua determinazione ad andare a Gerusalemme è la ferma volontà di annunciare Dio come Padre buono, costi quel che costi.
Il brano delle due sorelle si colloca dentro quel cammino, dal punto di vista di quella particolare volontà di Gesù va interpretato.
Inoltre, la nostra breve sezione si colloca all'interno di una sorta di piccola catechesi sull'essenziale in cui viene messo a tema il comandamento dell'amore.
In un dialogo con un dottore della Legge Gesù sfonda i confini tradizionali dell'amore portandolo fuori dal recinto ristretto in cui l'avevano rinchiuso le interpretazioni rigoriste della Legge.
Dando dimostrazione di grande libertà interiore, provoca un piccolo shock culturale con la parabola del Samaritano, con la quale provoca anzitutto il dottore a non essere schiavo di schemi culturali e ad imparare piuttosto a leggere la realtà con la stessa libertà con cui l'Amore si manifesta.
Lo fa attribuendo al Samaritano la stessa modalità d'amore che veniva attribuita a Dio, quella compassione - che in realtà il dottore della legge si rifiuta di ammettere e riconoscere - che solo Lui, e mai un uomo, poteva provare.
Al dottore, schiavo dei suoi schemi culturali e cultuali, che persevera ciecamente e ostinatamente in un'osservanza rigida e ottusa Gesù "rompe il giocattolo delle sicurezze" e chiede di vivere il rischio dell'amore.
In questa prospettiva di libertà interiore e di emancipazione dagli schemi tradizionali si colloca l'episodio delle due donne che va esattamente nella stessa linea.
Le donne al tempo di Gesù.
Per leggerlo correttamente occorre avere presente quale era la condizione tradizionale della donna al tempo di Gesù e come Gesù si poneva di fronte ad essa.
Nel mondo giudaico la nascita di una bambina era una disgrazia. La stessa parola di Dio, la bibbia, nel libro del Siracide esprimeva così: “Una figlia per il padre una inquietudine segreta, la preoccupazione per lei allontana il sonno, nella sua giovinezza perché non sfiorisca, una volta accasata perché non sia accoppiata, finchè è ragazza si teme che sia stolta e che resti incinta nella casa paterna. Quando è con un marito che cada in colpa e quando è accasata che sia sterile”.
Questa visione pessimistica della nascita di una bambina veniva confermata dal Talmud dove si legge: «il mondo non può esistere senza maschi e senza femmine, ma felice colui i cui figli sono maschi e guai a colui i cui figli sono femmine».
Allora non deve meravigliare che l’ebreo maschio reciti 3 volte al giorno questa benedizione: «benedetto colui che non mi ha fatto pagano, non mi ha fatto donna, non mi ha fatto bifolco».
Per questo motivo le donne erano escluse dall’insegnamento religioso e si riteneva meglio (sempre nel talmud) che le parole della legge venissero distrutte dal fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne.
Il ritratto della perfetta padrona di casa che è contenuto nella bibbia, libro dei proverbi, dice così: «Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. È simile alle navi di un mercante, fa venire da lontano le provviste. Si alza quando è ancora notte, distribuisce il cibo alla sua famiglia e dà ordini alle sue domestiche. Pensa a un campo e lo acquista e con il frutto delle sue mani pianta una vigna. Si cinge forte i fianchi e rafforza le sue braccia. È soddisfatta, perché i suoi affari vanno bene; neppure di notte si spegne la sua lampada. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutti i suoi familiari hanno doppio vestito. Si è procurata delle coperte, di lino e di porpora sono le sue vesti. Confeziona tuniche e le vende e fornisce cinture al mercante. Sorveglia l'andamento della sua casa e non mangia il pane della pigrizia. (Proverbi 31, 10-ss).
Questa condizione della donna che la obbliga a comportarsi come una bestia da soma era confermata dalla sentenza di un famoso rabbino secondo il quale anche se il marito possedesse cento schiave, egli doveva costringere la moglie a lavorare la lana perché l’ozio conduce all’impudicizia.
Le due sorelle
Gesù entra in un villaggio che, nei Vangeli, è il luogo della tradizione e della resistenza alle novità.
Marta
«Mar-ta» = padrona di casa. Padrona o schiava? Perché in effetti sembra più una schiava delle tradizioni che una padrona libera nell'esercizio del suo ruolo.
Le sue parole ci dicono invidia nei confronti della libertà della sorella e allo stesso tempo ostinazione a rimanere ferma nel ruolo tradizionale. Un "Vorrei ma non posso", che sfocia in un'espressione colma di acidità e offensiva anche nei confronti di Gesù, accusato di non curarsi di lei. Assomiglia moltissimo al fratello maggiore della parabola dei due figli...
Forse nelle sue parole c'è anche una richiesta di attenzione, forse c'è il desiderio di garantirsi un po' dell'affetto del Maestro, forse c'è la speranza di un riconoscimento...
In ogni caso, è evidente che Marta resta fortemente aggrappata allo schema tradizionale della donna di casa e, contenta o no di restarci, oppone forte resistenza a guardare le cose da una qualsiasi altra prospettiva, impegnandosi anche a contenere gli sbandamenti della sorella.
Le resistenze del dottore della Legge risuonano chiare nella resistenza di Marta, perciò siamo portati a guardarla nella stessa tipologia di categoria religiosa: una sorta di schiava, non proprio felice di esserlo, ma che preferisce restare tale piuttosto che correre il rischio della libertà.
È da notare come nell'atteggiamento di Marta, per quanto esternamente possa apparire come un servizio e dunque un modo di amare, ci siano dinamiche fortemente possessive ed egocentrate: "Non ti curi di me... mia sorella mi ha lasciato sola.. dille che mi aiuti...". Mentre Marta si trova dalla parte del «giusto», non si trova dalla parte dell'amore. D'altronde è possibile amare quando si è schiavi?
Da ultimo è importante avere presente che la vita di Marta è giudicata una dispersione ("tutta in giro") e un affanno inutile, in definitiva uno spreco che non fa di lei una "realizzata". Apparentemente fa ciò che è necessario, ciò che è considerato opportuno, ciò che sarebbe valutato una valorizzazione del tempo e delle risorse e invece...
Schiava, osservante, incompiuta.
Non ha accolto l'annuncio liberante del Vangelo e, ancora imprigionata, non sa fare dell'amore il proprio criterio di vita. Se l'avesse fatto, anche l'affaccendarsi avrebbe potuto essere "cosa buona".
Maria
Maria ribalta lo schema sociale del tempo e fa una rivoluzione con venti secoli di anticipo prendendosi il posto degli uomini.
Si mette seduta ai piedi di Gesù: è la posizione dell'ascolto e dell'accoglienza, è la posizione del discepolo nei confronti del Maestro, soprattutto è la posizione proibita alle donne perché l'insegnamento divino non è affar loro.
In una libertà sovrana e disarmante, Maria si scrolla di dosso il ruolo sociale e si pone in un atteggiamento che viene immediato descrivere come "tutto proteso" verso Gesù. Tace e non fa nulla. Sta in silenzio ed è focalizzata. È lo stile di chi è centrato sull'altro e anche di chi si trova in quella posizione per scelta, per una determinazione libera e consapevole.
È l'esatto opposto della sorella: libera, amante, compiuta.
Maria ha ascoltato il Vangelo annunciato per mettere in libertà gli oppressi e si è lasciata liberare. Ha scelto la libertà e se la tiene ben stretta potendo fare dell'amore la legge della sua vita. Il verbo usato da Gesù per descrivere l'azione di Maria indica la volontà chiara di scegliere una cosa precisa. Maria "elegge" la parte buona.
È il verbo del discernimento: Maria entra nel Regno e, libera, comincia a scegliere nel senso più autentico. Il suo stare ai piedi del Maestro è, in quell'occasione, il modo di amare che lei sceglie, non quello "giusto in assoluto".
Gesù.
Le parole di Gesù sono un sigillo.
La doppia espressione "Marta Marta" suona come un richiamo forte, per quanto bonario. La padrona di casa non ha ancora colto dove si trova l'essenziale e quale sia il cuore dell'esperienza di fede mentre la sorella Maria ha centrato in pieno l'obiettivo.
L'espressione «Ha scelto la parte migliore» andrebbe meglio tradotta con: «si è scelta un'eredità, una "porzione" che non le sarà mai tolta». Ma cosa ha scelto Maria? Ha scelto Gesù. Ha scelto di ascoltare Gesù, non solo in quella circostanza, ha scelto di accogliere l'annuncio evangelico di libertà nell'amore o di amore liberante che le sue parole portavano.
Gesù compie in Maria quel che con determinazione si è proposto di fare. Oppure, si può dire, in Maria si vedono gli effetti di chi accoglie senza resistenze l'annuncio del volto paterno di Dio.
Gesù elogia il vivere nell'agio libero dell'amore di Maria che non si lascia più ingabbiare dalle distorte categorie tradizionali ma si trova libera di discernere e scegliere non solo secondo il principio del bene ma anche del "meglio".
La elogia perchè la sua è una vita da figlia, piena e compiuta.
La libertà interiore che l'annuncio amoroso del Vangelo offre è data per sempre, per tutti coloro che intendono accoglierla e non accadrà mai che un giorno Colui che l'ha donata decida di toglierla e tantomeno può esistere alcuna forza in grado di cancellarla.
In sintesi.
Marta si ostina. Maria discerne.
La prima rifiuta il dono della libertà. La seconda lo ha accolto e sa scegliere.
L'annuncio evangelico è per la libertà. Chiede sì di diventare amanti, ma amanti discreti, cioè capaci, nella libertà di operare discernimento sapendo scegliere e sapendo declinare l'amore in modalità sempre diverse.