«Misericordia a buon mercato. Misericordia a caro prezzo» - La pecora smarrita e la dracma perduta.
Lectio di Lc 15, 3-10
Meditazione proposta alla Comunità Pastorale "Madonna del Rosario" di Lecco, in occasione degli esercizi spirituali comunitari.
Ascolta la registrazione dell’intervento:
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». (Lc 15, 3-10)
Contesto delle due parabole.
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. (Lc 15, 1–2) Gesù aveva iniziato la sua attività predicatoria e taumaturgica dandole la peculiare impronta della compassione. Fin dal suo esordio nella sinagoga di Nazareth le sue parole annunciavano predilezione per i poveri, gli afflitti e i gli ultimi, mentre le sue opere davano corpo al volto di un Dio concretamente e attivamente vicino agli emarginati e ai sofferenti. Ciò che però aveva da subito suscitato scalpore e polemica soprattutto in coloro che si proponevano come guide del popolo, era il suo particolare modo di rapportarsi ai peccatori pubblici: anziché mantenere le distanze, minacciare castighi, chiamare a conversione imponendo severe penitenze come era abitudine fare, Gesù sembrava preoccupato anzitutto di evitarne l'emarginazione e di annunciare loro la realtà dell’amore di Dio nei loro confronti. Ciò che va particolarmente sottolineato, è il fatto che nel rispondere al contesto che lo provoca, Gesù dà spessore teologico al proprio agire: la prossimità con i peccatori non è un capriccio suo ma la manifestazione chiara del modo con cui Dio stesso si pone davanti al peccatore e di come Egli gioisce quando uno dei suoi figli torna a Lui. Accogliere, condividere la casa, sedere alla stessa mensa con i peccatori è l’annuncio kerygmatico della Comunione che il Padre desidera avere con ogni uomo chiamandolo figlio anche quando la sua condizione di vita e le sue scelte sembrano impedirlo. Questo suo porre l'esperienza della Misericordia come principio della chiamata alla conversione, piuttosto che il richiamo alle verità della Legge mosaica, costituiva un serio problema per coloro che invece avevano costruito un perfetto sistema di governo del popolo e delle sue coscienze proprio su corpo legislativo articolato, rigoroso e puntuale. Tra l'entusiasmo dei peccatori e il fastidio dei capi del popolo cadono queste parabole.
Lectio
I personaggi principali.
Già nello scegliere i protagonisti delle due parabole Gesù si pone in atteggiamento stimolante verso entrambe le categorie di persone a cui si rivolge. Si tratta infatti di due personaggi dalle caratteristiche poco nobili e desiderabili per il tempo in cui sono state raccontate. I pastori erano tipi poco raccomandabili, spesso di dubbia fama, dalla reputazione discutibile e certamente non appartenente al ceto nobile. La donna descritta è di condizione molto misera e la reazione scomposta allo smarrimento e ritrovamento della moneta confermano la condizione povera, suggerendo una semplicità "ignorante". Certamente entrambi mantengono un comportamento imbarazzante e ingiustificabile.
Lo smarrimento.
La pecora e la moneta vengono smarrite, non si sa la ragione ma senza dubbio non paiono essere responsabili dello smarrimento. È bene fermarsi a questa parola: smarrimento. Nel racconto parabolico, fino alla glossa finale, la perdita della pecora e della moneta non ha ancora una connotazione morale come peccato, mancanza, errore, sviamento, caduta… Solo smarrimento. Se nel caso della pecora ci si potrebbe chiedere se non abbia contribuito con una distrazione, una rallentamento, una testardaggine, ma nel caso della moneta è marcato il riferimento a una condizione indesiderata per ragioni a lei estranee. Al centro del racconto non c’è affatto il tema della caduta morale. Si tratta di una situazione di pericolo certamente da risolvere in qualche modo, una condizione corrotta da ristabilire, ma non sembra esserci un riferimento diretto a quelle situazioni in cui è evidente la responsabilità morale. È vero che però la sentenza di commento alle due parabole fa riferimento all’esperienza del peccato e chiama in causa anche il tema della conversione. Dunque occorre interrogarsi circa la ragione per cui al tema della caduta morale ci siano due racconti di due esperienze in cui è difficile considerare colpevole lo smarrimento messo a tema.
La ricerca.
Il cuore del racconto è l’affannosa, ininterrotta, tenace ricerca messa in atto dal pastore e dalla donna. I due danno il via a una "grandiosa" operazione per recuperare ciò che hanno perso e che resta in atto fino ad obiettivo raggiunto ("finché non la trova") con uno stile che, oltretutto, non sembra affatto preoccupato di darsi un contegno né di rispettare troppo regole di buon senso o di bon-ton. Tutto il resto viene sospeso, la ricerca ha la priorità assoluta come se la vita stessa del pastore e della donna fosse inscindibilmente legata alla pecora e alla moneta e dunque dipendesse direttamente dal ritrovamento. Qualcosa di simile all'atteggiamento del padre nella parabola dei due figli, il quale dà la netta sensazione che senza di loro la sua esistenza resta come sospesa. La ricerca è di una tale importanza che non sarà interrotta fino a ritrovamento effettuato e non è dunque osare troppo affermare che il ritrovamento è garantito e certo.
Viaggio gratis.
La pecora è portata sulle spalle senza aggravio alcuno. Le fosse anche attribuibile l’allontanamento dal gregge, il ritorno non è a suo carico. Oltretutto la sua è anche una condizione privilegiata perché “vede” il pastore in azione in un modo unico ed è oggetto di una sua cura particolare riservata esclusivamente a lei. Il che è scandaloso perché corrisponde a un vero ribaltamento della logica del merito: a chi non ha nulla da vantare viene riservata la parte migliore! Se si tiene conto del fatto che nella religiosità del tempo di Gesù il concetto di causa-effetto per descrivere alcune condizioni di vita era applicato rigidamente (la malattia era la punizione per un peccato, la povertà il segno di un mancato gradimento agli occhi di Dio, il peccato la conseguenza di una coscienza corrotta…) la parabola doveva essere "esplosiva". In un contesto in cui le circostanze, le cause esterne, le intenzioni del peccatore per chi applicava la Legge non contavano nulla e in cui la prassi penitenziale severa e rigorosa era applicata senza sconti, un simile "viaggio gratis" non poteva che essere inaccettabile.
La gioia.
Appare come una necessità inderogabile alla quale tutti devono partecipare e la cui misura eccessiva e sottolinea la portata e l'importanza del salvataggio, apparendo, oltretutto parte integrante del processo di smarrimento e ritrovamento.
Fuor di metafora.
Dio, quel poveretto impresentabile.
Una poveretta, con una gioia quasi "infantile" nel ritrovare quel che aveva perduto, in mezzo a una situazione di miseria è immagine di Dio. Gesù sceglie di rappresentare il volto del Padre Suo attraverso quella di un poveretto impresentabile, una sorta di mendicante dal comportamento imbarazzante. L’annuncio più scandaloso della parabola è che Dio è presente nelle dinamiche indecorose dei poveri. Anzi, le dinamiche con cui Dio si muove assomigliano da vicino a quelle dei miserabili. Se così è, la Misericordia che viene incontro al peccatore non è una distaccata pietà che dall'altezza della sua nobiltà scende verso un altro di grado inferiore, piuttosto un permanere stabile nei bassifondi, dove sia facile e immediato avvicinare il misero. È straordinario che lo stile con cui Dio cerca il peccatore sia rappresentato con il modo scomposto e non sempre decoroso con cui il povero cerca il necessario alla vita.
La priorità è la persona.
La priorità della Misericordia è il ritrovamento di ciò che è perduto. E il Vangelo andrebbe annunciato dicendo con chiarezza e forza che la persona e la sua salvezza hanno la priorità sempre e comunque. Quando qualcuno si trova in una situazione disgraziata per responsabilità sua o di altri, il suo recupero è una priorità divina. E si possono, si devono mettere tra parentesi - non cancellate! messe temporaneamente tra parentesi - per un attimo anche le "decenze" pur di salvarla, cioè le leggi, i regolamenti, i principi fondamentali, le regole formali, i valori. Non c’è nulla che possa essere messo come condizione arginante di questa forza di ricerca e di recupero. Dio è un mendicante di noi, "ossessionato" dall’averci con Lui. Non c’è cosa che abbia più valore ai suoi occhi che la nostra vita. Quel "finché non la trova" è un annuncio di una forza straordinaria! La Croce di Cristo con il perdono agli aguzzini e il riscatto del ladrone è esattamente questo: il Figlio diviene un maledetto, sfonda ogni decenza, perde perfino la propria dignità, viola le regole della Giustizia pur di salvare.
Beato il peccatore.
Il peccato è la condizione in cui la cura di Dio per noi si fa massima, non quella in cui Lui prende le distanze finché non torniamo degni delle sue attenzioni. Nessuno "vede" Dio così chiaramente come può farlo un peccatore. Certo, non è detto che lo faccia, ma non c’è condizione che metta in una prospettiva migliore per vedere Dio che il nostro peccato. Da lì si vede il Padre nella sua forma più smagliante, quella in cui sfodera le armi migliori per salvare l'uomo. Non si tratta ovviamente di commettere peccati per provocare Dio, piuttosto comprendere che quando si è nel peccato abbiamo il Suo "fiato sul collo".
La conversione.
Siamo abituati a pensare alla conversione come quell’impegno determinato e fermo a cambiare radicalmente vita, mentalità e scelte, associato a pratiche penitenziali e percorsi di faticoso recupero. Un impegno serio, uno sforzo considerevole, dopo il quale e grazie al quale arrivare a toccare con mano l’amore di Dio che viene riservato come ricompensa. Un conversione senza sofferenza, che non costi nulla e non comporti un ponderoso cammino di riabilitazione tutto a carico del penitente non sarebbe nemmeno da considerarsi tale. L’approccio di Gesù narrato dalle parabole sembra essere il contrario: toccare con mano la Misericordia di Dio che rigenera, ricrea, ritrova, salva è ciò che suscita il desiderio di una vita corrispondente a tale Grazia. Perciò il ricongiungimento di Dio con il peccatore non è posto sotto la condizione di un prezzo, di una penitenza, di una promessa… Non c’è una minaccia, neppure un castigo, ancor meno la richiesta di una garanzia. Il peccatore viene non caricato di un peso ma alleggerito da quello che porta già e che consiste nel male fatto, nelle conseguenze su di sé e sugli altri, nella responsabilità di coscienza. Ancora di più la stessa conversione, stando alla metafora parabolica, in certi casi appare totalmente a carico e ad opera di Dio! Ma è giusto? È corretto? Allarghiamo lo sguardo ulteriormente per comprendere con un’ulteriore riflessione.
Smarrimento incolpevole.
Associare il tema della conversione del peccatore a episodi di smarrimento apparentemente incolpevole come quelli della parabola ci invita a non essere semplicistici nel considerare le condizioni di peccato. Esistono intere esistenze corrotte, anche radicalmente se non irrimediabilmente, che difficilmente sono attribuibili alla sola ed esclusiva responsabilità di chi vi si trova coinvolto. Spesso sono situazioni in cui la decisione personale, magari non particolarmente grave, ha dato il via a una serie di conseguenze che hanno reso impossibile al singolo un riscatto. Altre volte è una concomitanza di fattori esterni che concorrono, pur senza obbligare, alla caduta peccaminosa, senza poi permettere nemmeno un ripensamento. Altre volte ancora sono errori commessi da altri che riducono in situazioni di vita che se non si possono definire tecnicamente di peccato, nemmeno sono aperte al bene. Ancora possono essere peccati commessi senza comprenderne effettivamente la portata e in cui si resta invischiati senza possibilità di uscita. La capacità di guardare il peccato come una «storia» più che come un fatto puntuale, ci permette anche di pensare, costruire, proporre, favorire storie di conversione e non eventi una tantum che poi lasciano l’altro solo con la fatica della risalita. Questa è Misericordia a caro prezzo.
Spunti di riflessione.
1.
Imparare una lettura larga della condizione di peccato vale non solo per il peccato degli altri, ma anche e soprattutto per il nostro. Così come è necessaria la consapevolezza che i “ritorni” non sempre sono alla nostra portata, ricordandoci che non siamo tenuti all’impossibile. Liberarci definitivamente dal senso di colpa - diverso dal senso del peccato! - e dal timore dell’indegnità davanti a Dio, che restano, in realtà, la tentazione già grande mascherata invece da "buon sentimento".
2.
C’è ancora spazio per una pratica penitenziale? Che posto trova? Questa Misericordia è a caro prezzo perché ci chiede di diventare poveri in spirito, di riconoscersi che siamo già stati acquistati da un Altro. Le opere non sono più la ricchezza che sappiamo produrre e con cui possiamo contrattare l’accesso al Regno ma la dichiarazione di povertà di chi sa non poter far altro che affidarsi a quella Parola che dà la vita. Le opere sono l’unico modo che abbiamo per dire di sì a quella Misericordia e vanno praticate sapendo che farlo è una fortuna, non un merito.
3.
La gioia per il peccatore ritrovato è imitatio Dei. C’è da interrogarsi a lungo circa questa immagine, noi che spesso cadiamo nel complesso dei figli unici, e anziché gioire per la rinascita di una persona spesso cadiamo nell’invidia per la generosità del Padre, continuando magari a rinfacciare a chi ha cambiato vita i suoi trascorsi peccaminosi. Chi non sa gioire della Misericordia per il fratello e non esulta per la sua conversione è tanto distante dal cuore di Dio.