Il Signore Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». (Lc 19, 1-10)
Zaccheo è Suo fratello.
Lo sa, lo sente, lo vede.
Non basta la massa di macerie morali che una vita di truffe e ruberie ha ammassato davanti al piccolo pubblicano. Non è sufficiente il fango che il pregiudizio popolare e il tribunale religioso gli avevano gettato addosso. Non è così accecante il luccichio delle ricchezze di cui Zaccheo si era coperto.
Il Suo è un occhio penetrante. Egli vede.
Dietro le macerie, il fango, il luccichio c'è un volto che conosce. Un volto in cui si riconosce.
Quello è un figlio d'uomo, un figlio di Abramo, un figlio di Dio. Tanto quanto Lui.
Sangue del Suo sangue, in fondo. Non per la discendenza, ma perché su quell'uomo, come su ogni altro, è risuonata la parola primigenia: «È davvero cosa molto buona». (Gen 1, 31)
È stirpe della Sua stessa stirpe. Desiderato, benedetto, amato dal Padre. Zaccheo è suo fratello.
«Va a passare la notte da un peccatore»
Loro non vedono. Non importa. Lui sì, ed è ciò che basta.
E va a passarci la notte, come quando si è di casa, come quando c'è l'intimità e la confidenza di un destino comune. Nessuna toccata e fuga. Come fosse sempre stato lì, come non dovesse mai più andar via.
Prima ancora che Zaccheo manifesti una parvenza di pentimento, prima che possa anche solo iniziare a rimediare al male compiuto, la Salvezza - la infinita, volontà di Salvezza, sì: infinita! - ha già preso la via della sua dimora.
Perché il riscatto di Zaccheo non sta in una nuova opportunità offerta e nemmeno nell'occasione di restituire il maltolto. Il riscatto di Zaccheo è tutto in quel «Devo venire a casa tua», nell'impellente bisogno di avere tutti con sé che proviene dal Padre e trabocca nel Figlio verso ogni Suo fratello.
Il «Tu» che Gesù rivolge a Zaccheo ha lo stesso spessore della Parola Creatrice: «Tu sei cosa buona. Qualunque cosa tu abbia fatto, comunque sia la strada che hai intrapreso, chiunque sia l’uomo che sei diventato, Tu per me sei cosa buona».
Un tesoro da non perdere. Un patrimonio destinato a grandi cose. Un capitale su cui investire senza timore.
Il resto non è che conseguenza del tracimare del fiume di Fiducia di Dio nel deserto arido della vita di Zaccheo.
Non il prezzo per guadagnarsi il perdono e nemmeno lo slancio infantile di chi vuol dimostrare di aver imparato la lezione: la generosità di Zaccheo è solo il segno esteriore di un uomo che, in quel «Tu» ha riscoperto la propria dignità di immagine del Padre, ha riassaporato la propria libertà di figlio e ha risentito il fascino delle grandi cose a cui è destinato dalle origini.
Il pubblicano non ha più bisogno di difendersi da Dio e dagli uomini con le armi dell'astuzia e il potere della ricchezza. Libero, finalmente, si libera di ciò che ormai è solo un peso. Bello, come una volta, splende dello stesso splendore del Padre e del Figlio.
Suo fratello.
Lo straordinario annuncio di questo Vangelo non è la radicale conversione di Zaccheo, ma l'inarrestabile affermazione di fiducia e dignità che Gesù fa nei suoi confronti, prima di ogni segnale di pentimento e senza che nulla giustifichi il rischio fiduciale.
Non affanniamoci a cercare tra le righe di Luca e nel comportamenti di Zaccheo spiegazioni psicologizzanti: «Ma Zaccheo aveva il cuore aperto… Ma in fondo cercava già Cristo… Ma certamente aveva un grande desiderio di cambiamento… Però l'ha accolto…».
Luca tace, perciò rispettiamolo. Sappiamo solo di una curiosità viva e vivace del pubblicano, forse qualcosa di più, considerato come si espone al ridicolo. Ma comunque nulla che possa somigliare a un vago brandello di fede, nemmeno quella pur bella ed entusiastica accoglienza riservata a Gesù.
A Luca, infatti, non interessa troppo Zaccheo.
Il centro è un altro e sta tutto in quell'ultimo versetto sconcertante e scandaloso: «Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto».
La categoria dei perduti da Gesù in poi è in via di estinzione. Nessuno può darsi per perduto e nessuno può essere dato per perso.
Il centro del brano è il riscatto operato da Cristo affermando l'incancellabile dignità di quell’uomo. L'incredibile fiducia nella bontà originale dell'uomo, in quella traccia divina fondamentale, in quella scintilla di Spirito primigenio che lo dispone alla comunione con Dio, con i fratelli, con il creato secondo l'economia del Regno.
Lo sconcertante annuncio di questo Vangelo è un Padre che crede nella bellezza dei figli al di là di ogni ragionevole dubbio.
È forse più facile credere nell'esistenza e nella bontà del Dio invisibile che nella bellezza dell'uomo visibile.
Il Vangelo, però, certo che invita a credere in Lui come Padre, ma ricordandoci che non c'è altro modo reale, serio e radicale che il credere nella bellezza e bontà del fratello, giocando in lui la fiducia che Cristo ha giocato, vedendo in lui la dignità della figliolanza, sporgendosi con rispetto sull'abisso della sua libertà, essendo per lui quel «Tu» che paga per il suo riscatto e la sua liberazione.
Ancora una volta: si crede nel Padre per celebrarLo come tale nell'uomo, chiamandolo "fratello" e dicendolo "cosa buona" al di là di ogni ragionevole dubbio.