Non è vero che dobbiamo essere cristiani credibili.
Non è vero anche se continuano a chiedercelo o a pretendere di insegnarcelo.
Ci dicono che il nostro mestiere domanda attendibilità, che il testimone deve dimostrarsi solido e il venditore convincente.
Ma non abbiamo niente da vendere, nulla da dimostrare, nessuno da convincere.
Non l’hanno capito quelli che si ostinano a chiederci di essere credibili.
Oltretutto ci ripetono che dobbiamo legittimare ciò che siamo, altrimenti non valiamo nulla.
Ce lo chiedono parlando di una credibilità che sa di culto della personalità e piega il valore di un ideale alle misure troppo misere – sempre e di chiunque, perfino santo – di chi intende incarnarlo.
Ma, in verità, siamo contenti di non valere nulla ai loro occhi.
Siamo felici se ci dicono che non siamo attendibili.
Siamo fieri di non piegarci al mito della credibilità costruito sul verbo dell’impeccabilità autosufficiente.
Siamo contenti perché del perfezionismo nel Vangelo non c’è traccia, e ci preoccupiamo solo di essere, prima che credibili in qualche modo, credenti, ma nel Vangelo e non in altro.
E, per la verità, in esso non vi è una sola parola che pretenda l’impeccabilità del discepolo.
Non pochi cadono nel tranello della credibilità e vivono una vita da cristiani prestazionali, occupati e preoccupati a dover dimostrare qualcosa.
Si dovrebbe invece vivere nell’agio dell'essere credenti costantemente affamati di Vangelo.
Lì si trova una Parola altra rispetto al poco che si è e ad Essa ci si affida proprio perché si trova appena oltre le nostre scarse possibilità.
Quello scarto fa gridare il bisogno di essere raggiunti e la consapevolezza della propria incapacità a ottenere da soli una vera salvezza.
Il Vangelo risponde con l’offerta di un Bene gratuito le cui misure superano infinitamente i mezzi di ciascuno.
Per questo si crede.
Perché si trovano parole che comprendono, accolgono e salvano la propria povertà, di qualunque natura sia. Così la propria pratica evangelica limitata e misera non spaventa più. E non ci sente per nulla costretti ad inseguire il mito di quella credibilità orgogliosa e sedicente.
I cristiani non sono credibili a quel modo. E non devono esserlo.
Si ricordano sempre e anzitutto della beatitudine dei poveri e desiderano solo essere coerenti a questo Vangelo, quello vero, rifiutando le sue caricature che odorano di moralismo, di titanismo e del farisaismo di ritorno.
E quando, dopo aver miseramente fallito, torneranno ammettendo la caduta e professando la fede nella Misericordia, sarà quella la volta della vera coerenza ad esso.
Si è coerenti al Vangelo semplicemente annunciandolo vero sempre, ancor di più qualora ce ne si allontani.
In questo umile ed eterno movimento di ritorno al Vangelo si gioca la vera identità dei discepoli.
Si è coerenti coerenti al Vangelo avendone sempre fame e sete: sapendo che questa è la vera pratica che è richiesta e che sa realmente dare alla vita una forma evangelica.
Un credente non ha nulla da vendere o da dimostrare ma è solo un mendicante, tra i tanti mendicanti, che indica agli altri un luogo dove insieme potranno mangiare.
Questa è l’unica credibilità che i cristiano possono e devono cercare.