Passeggio spesso a lungo nel cortile del mio Oratorio.
Mi piace farlo soprattutto il mattino con il mio cane che mi saltella attorno mendicando attenzioni.
Il concerto di suoni del paese che si sveglia arriva, un po' attutito ma limpido, a riempire il cortile e i campi da gioco.
Le prendo a braccetto e passeggiamo, io e le voci del mio paese.
Faccio silenzio e le lascio parlare.
La fatica di un cantiere, la fame di un corvo, l'esuberanza degli studenti della scuola vicina, il ridere del torrente sottocasa, il farsi attendere del treno, la fretta della superstrada là in fondo, la monotonia della ditta dietro all'Oratorio, le puntualità delle campane, la solitudine dei cani del vicinato, la frenesia dei passi dei pendolari verso la stazione...
Un chiacchiericcio confuso di discorsi sparsi che pure è armonia, al quale contribuisco facendo correre la mente a tutte le voci che non mi arrivano e che si levano nascoste in mezzo alle altre.
Rimango.
In silenzio raccolgo e custodisco.
Lascio che il paese mi entri dentro a risvegliare la consueta memoria dei volti che so dietro a quei rumori.
Ognuno è un racconto che mi riempie l'anima.
Man mano che me ne sento colmare, lo sguardo è costretto a levarsi come a cercare uno sbocco.
Anzi no, una destinazione.
Quelle voci cercano una Patria, come me.
Consapevoli o no, ma che differenza fa?
Quelle voci mi chiedono e spingono a cercarla insieme a loro e per loro.
La voce del mondo che si leva è un'inconsapevole preghiera che mi trascina con sè.
Mi unisco, come un sacerdote deve fare, a quest'unisono.
E celebro, come una liturgia altra.
E' facile pregare così.
Non c'è altro da fare che essere umano, con gli altri umani.
La lode, la supplica, l'imprecazione, l'abbandono, la pretesa, la paura, la gioia, l'intimità, la distanza, la fede e l'incredulità...
Tutti i colori e i toni della preghiera dipingono e dispongono questo celebrare informale.
So che il cuore del Padre ha anticipato l'alba per non perdere nemmeno una delle voci che a lui, volute o meno, sarebbero salite.
Nessuna deve sfuggire al suo abbraccio.
Nemmeno la mia che sta celebrando con lui questa strana liturgia con lo stesso gusto con cui vive quella autentica.
Il suo sguardo benevolo è una certezza interiore alla quale do voce sussurrando a nome suo una benedizione. Perchè ciascuno possa andare in pace.