I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli". In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: "Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo". E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono". (Lc 10, 17-24)
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Contesto del brano
Il Viaggio a Gerusalemme.
Da 9, 51 Luca costruisce il suo racconto come la descrizione di un viaggio che Gesù compie in direzione di Gerusalemme. Si tratta di un percorso teologico più che geografico: è il procedere verso il pieno compimento della rivelazione del volto del Padre che avverrà con il mistero pasquale, nel contesto gerosolimitano.
Nella sinagoga di Nazaret Gesù aveva dichiarato la natura della propria missione identificandosi con la profezia isaiana:
"Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore". Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".
In lui - parole, opere, umanità - prende il via il compimento del tempo di grazia promesso.
A quella dichiarazione dà seguito con un’azione di progressiva attuazione e insieme rivelazione della prossimità del Regno di Dio, guarendo, sanando, accogliendo, perdonando, sfamando.
Ciò che appare agli occhi della gente del suo tempo è la manifestazione di una splendida immagine di Dio, che ha l’effetto di ribaltare le prospettive, gli schemi interpretativi e gli ordini costituiti.
I poveri stanno al primo posto, i deboli sono i prediletti, il potere viene riletto in termini di servizio, la ricchezza presentata come un pericolo, la conversione del cuore diviene prioritaria rispetto all’esteriorità dei riti, la misericordia è annunciata come vera giustizia divina.
L’annuncio di Gesù incontra una certa accoglienza ma anche una ferma opposizione da parte di chi si sente messo fortemente in discussione. L’opposizione diventa rapidamente ostilità aperta, fino alla decisione della sua eliminazione.
A fronte di questo, Gesù risponde con determinazione accettando la battaglia. Non la combatterà per uccidere, bensì per salvare, perfino i suoi stessi assassini. Le armi che utilizzerà saranno anch’esse strumenti di rivelazione del volto del Padre: mitezza, pazienza, umiltà, misericordia, comprensione, fermezza, franchezza.
Perciò decide di andare fino in fondo nella sua opera puntando la tana del lupo, nella quale entrerà, però, da agnello. Questa è la determinazione di Gesù: determinato a volere la vita, di tutti, a tutti i costi.
Il viaggio che inizia al versetto 51 del capitolo 9 sarà un percorso che rivelerà continuamente e sempre più profondamente questa volontà di vita e di salvezza che è il Regno in atto, fino al suo culmine.
La missione dei 72.
All’interno di questo suo viaggio e, ancor più, di questa lotta per la rivelazione del volto del Padre e per la salvezza di tutti gli uomini, Gesù si decide per un coinvolgimento diretto dei suoi discepoli, mandandoli avanti a sé lungo il cammino.
«Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio". Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: "Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”.» (Lc 10, 1-11)
L'invio del 72, in Luca, prefigura la missione universale della Chiesa che verrà raccontata dall’evangelista negli Atti degli Apostoli e che, in questo passaggio, viene dunque collocata all'interno del viaggio di Gesù a Gerusalemme, cioè nella Sua intenzione determinata a mostrare il volto misericordioso del Dio della vita.
I 72 - e dunque la Chiesa - hanno la stessa missione di Gesù e devono condividerne obiettivi, intenzioni, metodi.
È importante cogliere il radicamento della missione in un’esplicita volontà da parte di Gesù: non si può pensare l’opera missionaria se non in assoluta e strettissima continuità con l’agire di Gesù.
La continuità tra l’opera di Gesù e quella del discepolo missionario implica l’impegno da parte di quest’ultimo anzitutto a comprendere qual è l’autentica volontà di colui che l’ha inviato, quali le intenzioni, quali gli obiettivi, quali i sentimenti che muovono il suo cuore.
La priorità del missionario nel dare avvio alla missione non devono essere anzitutto le opere da realizzare o le strategie da costruire, piuttosto la perfetta sintonia con lo spirito che ha mosso il Maestro. I gesti potranno anche essere diversi da quelli compiuti da Lui ma se lo spirito sarà identico, “l’opera missionaria” sarà la stessa.
Il cosiddetto «discernimento pastorale» - ma anche di ogni altro - non si svolge dunque anzitutto sulla base delle indagini sociologiche, degli studi statistici o delle teorie comunicative. Esso consiste nel verificare la corrispondenza delle intenzioni, dello spirito e poi delle azioni con il cuore dello stile di Gesù.
Il numero rappresenta le nazioni, l'elenco dei popoli (cfr Gen 10), e dunque i missionari sono rappresentanti delle nazioni. Queste ultime, dunque, non sono solo destinatarie dell'evangelizzazione ma soggetti protagonisti: l'evangelizzazione si fa con membri di ogni popolo.
È una missione «in fraternità»: l'ambiente in cui deve risuonare l'annuncio non può che essere famigliare perché dovranno, curando e predicando, mostrare il volto di un Padre che si cura di figli.
Il primo compito del missionario è la preghiera di fronte all'ampiezza della messe. Non si tratta di un’invocazione “perché Dio ce la mandi buona». Con quell’invito Gesù dichiara in anticipo che la missione non sarà un’esclusiva dei 72, ma soprattutto che non saranno adeguati, che il compito è sproporzionato, che la misura delle loro capacità è assolutamente insufficiente rispetto al campo da percorrere.
Sembra che il primo requisito del missionario sia la consapevolezza della propria inconsistenza: bisogna essere umili e convinti che non si è né si ha granché da mettere in campo.
Paradossale è il fatto che una volta tornati dalla missione mostreranno gioia per il potere che hanno potuto esercitare sui demoni. Lo scarto rispetto all’invito alla preghiera ricevuto da Gesù è palese: non sembrano per nulla parole di chi ha toccato con mano la propria fragilità, piuttosto paiono parole di chi si è innamorato di un potere.
Poi, una volta acquisite le giuste consapevolezze, devono portare la pace, guarire, annunciare il Regno cioè la cura paterna di Dio. Non altro, solo questo e soltanto in questo consiste l'evangelizzazione.
Il tutto con uno stile assolutamente spoglio, libero, debole, avendo come campo da gioco non gli ”ambienti sacri” ma le strade, le città, le case e come strumento d’annuncio la relazione.
Lectio
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli".
Lo sfondo del ritorno dalla missione è la gioia. Il successo della missione non viene però considerato dai discepoli la conversione delle genti, bensì la sconfitta dei demoni. Anzichè raccontare a Gesù la gioia per le persone sanate, per il conforto portato, per il bene distribuito, esultano e gioiscono per il potere che hanno provato e tenuto tra le mani.
Il fatto che Gesù “corregge” i discepoli circa il motivo della loro esultanza evidenzia un difetto nel loro stile: sembra dunque che non abbiano ancora assunto pienamente la visione e l’approccio del Maestro. Eppure hanno vissuto la missione e hanno effettivamente potuto esercitare il potere sul Male.
Che discepoli imperfetti e fallaci siano comunque missionari è una notizia consolante e incoraggiante che ci invita a guardare con maggior libertà e scioltezza il tema della adeguatezza e della credibilità dei testimoni del Vangelo.
Inoltre ci permette di comprendere meglio anche il tema della continuità tra l’agire di Gesù e quello del missionario. Quest’ultimo è anch’esso discepolo sempre in cammino, in costante conversione al Vangelo ed è il suo impegno a ritornare continuamente alla sorgente del proprio mandato che garantisce la continuità con lo spirito di Gesù.
In un percorso di questo genere le “correzioni di rotta”, come quella che Gesù opera nei confronti dei 72, non sono un problema, bensì il normale svolgersi del viaggio.
L’annuncio del Regno di Dio e anche il suo manifestarsi non rispondono alle caratteristiche di un meccanismo freddo e infallibile, quasi matematico. Piuttosto seguono quelle complesse, articolate, contraddittorie e anche fallaci dell’uomo, la sua carne, la sua libertà.
Il tema dominante diventano dunque il potere e la gioia: la missione sembra una lotta contro le forze del male, a favore della liberazione degli uomini; la gioia sembra qualcosa attorno cui convertirsi.
La tradizione giudaica che vedeva Satana rappresentato in cielo come accusatore degli uomini, come colui, cioè, che cercava di ottenerne la loro condanna da parte di Dio.
La sua caduta dunque è la dichiarazione del fatto che nessuna accusa sarà presentata a Dio contro l'umanità: il Regno del Padre, così, finalmente si realizza. Non c’è più nulla da temere perché il Padre non accusa i suoi figli nemmeno quando compiono il male; piuttosto offre misericordia e pazienza invitandoli ad accoglierla abbandonando ciò che li danneggia e rovina la loro esistenza (il male).
Vanno tenute però presenti anche le visioni apocalittiche della fine dei tempi nella quali in Cielo si svolge la battaglia tra Bene e Male con la caduta finale di Satana: Gesù attualizza la lotta, mostrandola già in atto nel suo agire salvifico. Il Regno è già presente e la battaglia in corso.
Gesù in effetti conferma: il Cielo deve essere liberato e il volto del Padre oscurato dall'Accusatore deve essere mostrato in tutta la sua bellezza. Nessun male sarà ultimo e nulla davvero avrà potere di morte definitiva, ma solo per volontà e per potere di Gesù che mostra così il volto del Padre.
La possibilità di camminare su scorpioni e serpenti è l’immagine della cura effettiva da parte di Gesù e del Suo potere sul male a favore dei discepoli.
Perciò i discepoli devono gioire del fatto che godono della cura del Padre che li salva e libera da ogni male, per mezzo del Figlio. La salvezza non sta nel potere sui demoni o nei successi missionari: la scelta d’amore del Padre è la salvezza.
La gioia del Vangelo sta nella relazione col Padre.
Il ritorno dalla missione fa venire il sospetto che la logica dei discepoli sia stata un'altra: godono del potere, della capacità di sottomettere, della forza che si accorgono di avere. Non è evidentemente questa la base su cui fondare l’azione missionaria e la gioia ad essa collegata. Il missionario con i piedi calca la terra e con gli occhi contempla il Padre.
Questo Vangelo interpella fortemente il modo in cui cerchiamo la gioia quotidianamente, i motivi da cui sorgono le nostre esultanze, i luoghi in cui andiamo a cercare soddisfazione.
I piccoli o grandi successi personali garantiscono una gioia stabile e duratura? La gioia delle relazioni può fondarsi solo sull’impegno a cercare armonia e accordo? Una vita senza preoccupazioni, travagli o malumori è la «vita nella gioia» che il Vangelo annuncia?
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: "Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo".
L’esultanza di Gesù va compresa bene. Non si tratta di semplice ”felicità”, soddisfazione professionale, gratificazione per una realizzazione personale… È qualcosa che va oltre il suo personale compiacimento e abbraccia il compiersi di un bene a favore dell’umanità.
La gioia di Gesù sta in ciò che il Padre è e fa. Esulta perché vede il Regno realizzarsi. Gioisce perché tocca con mano che il Vangelo che Lui stesso annuncia accade realmente. Mostra ai suoi la natura, l'origine, la consistenza della vera gioia evangelica: è il Regno che viene, la paternità del Padre che si realizza fedelmente e inesorabilmente.
Dunque la gioia evangelica non è qualcosa che si può produrre di nostra iniziativa. Ha, piuttosto, il carattere del dono, della sorpresa, della grazia che un Altro ti offre con ciò che è ciò che fa.
Così la gioia di Gesù è stabile, duratura e piena.
È l’esultanza del Magnificat, quella che vive della riconciliazione profonda di chi ”vede” la salvezza accadere, la vita trionfare sulla morte, l’amore sconfiggere l’odio, la storia procedere verso un compimento custodito da un Altro.
La gioia evangelica è quella che sorge dall’intuire il «ribaltamento» che il Regno di Dio comporta: i piccoli, gli umili, gli esclusi, i deboli, i peccatori sono al primo posto. Non è qualcosa che si può produrre con un esercizio di rasserenamento interiore, tantomeno con il ragionamento. È un’intuizione spirituale che - ribadiamo - avviene come un dono e che chiede di attraversare la Pasqua, ribaltamento per eccellenza: morendo si entra nella vita piena!
Quando parliamo di Vangelo per la nostra felicità o cose del genere, stiamo attenti a non perdere questo spessore. Il Vangelo non è un banale rimedio alla scarsa autostima, a problemi di umore, a frustrazioni interiori o a qualche genere di blocco psicologico che rende tristi.
La gioia evangelica è un’esperienza che sta dentro il drammatico dell’esistenza, che ha a che fare con il tragico delle questioni di vita o di morte. La gioia del Magnificat canta un ribaltamento che ha il sapore della Pasqua, di un passaggio di morte e resurrezione, di fine e di nuovo inizio.
Non è la soluzione dei paradossi, dei conflitti, delle difficoltà, bensì l’abito che permette di assumerli e di attraversarli. Essa è, in definitiva, la possibilità di abitare la storia con lo sguardo di Dio, di Colui che è sempre principio e mai fine di ogni cosa, di Colui che è vita e mai morte, di Colui che è salvezza e mai condanna. Dunque nella certezza che la nostra esistenza ai suoi occhi è un valore assoluto, a fronte del quale è pronto a spendersi direttamente.
Nelle parole della preghiera di Gesù c’è il cuore teologico del Vangelo.
I sapienti e i dotti non sono gli intellettuali, bensì quelli che conoscono le Scritture, conoscono la Sapienza, conoscono la Legge e che dunque sono dotti e non ignoranti. Scribi, farisei e dottori della Legge. Sono coloro che avrebbero dovuto dischiudere i tesori delle Scritture ai poveri.
I piccoli sono i peccatori, i malati, gli ignoranti, la gente semplice del popolo, i pastori... Etc... In maniera particolare, però, tutti coloro che non conoscevano la Legge e che avevano bisogno di qualcuno che la spiegasse e li aiutasse a viverla.
Gesù constata che i primi sono sordi - pur con tutta la loro sapienza - e non capiscono «queste cose» (le parole e le opere di Gesù, il Mistero del Regno che viene), mentre i secondi comprendono - pur nella loro ignoranza - e si rende conto perciò che il Vangelo è proprio vero, funziona, accade, che il Padre davvero solleva e da speranza a chi non ne ha più.
Ora il Regno di Dio è molto di più che un auspicio: è davvero quello il momento e il tempo in cui i poveri sono esaltati e i grandi sono umiliati, i ricchi vanno a mani vuote e gli affamati sono saziati.
Gesù, che dal Padre riceve ogni conoscenza e ogni autorità e potere, introduce a conoscere il Padre da subito coloro che fanno di quella ”ignoranza” un atteggiamento spirituale: disponibilità, apertura, docilità, umiltà.
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono"
Dopo aver spiegato ciò di cui era bene gioire; dopo aver mostrato ai discepoli la natura, l'origine e la sostanza della gioia evangelica; dopo aver creato le condizioni perché anche i discepoli potessero vedere e sentire Gesù li invita a prendere coscienza della beatitudine, della condizione invidiabile in cui si trovano.
Essi vedono il Padre curare i piccoli e coloro che si fanno piccoli e non c'è beatitudine più grande, consolazione più piena e soddisfazione più autentica del vedere e ascoltare l'amore misericordioso e compassionevole di Dio all'opera nella storia.