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Premesse
Non è mai sufficientemente ribadita la verità affermata da Paolo nella Lettera ai Corinti: «Se Cristo non è risuscitato, allora vana è la nostra predicazione e vana è anche la vostra fede» (1Cor 15,14). Il nucleo incandescente dell'annuncio cristiano dal quale ogni altra parola del messaggio evangelico prende calore, forza, vigore e significato è uno solo: la resurrezione di Cristo. Non l'amore per il prossimo, non la paternità di Dio, non la fraternità universale prese in quanto tali sono il cuore del Cristianesimo ma il fatto che, dopo la sua crocifissione, Gesù è vivo e operante. Su questa Verità si deve necessariamente appoggiare ogni altro tema cristiano e ad essa deve restare sempre imprescindibilmente legato.
L'intervento di Dio che introduce Gesù in una vita nuova è il segno della singolare unicità della sua persona, delle sue parole e dei suoi gesti, i quali, solo grazie alla resurrezione acquistano una portata universale e una pregnanza salvifica. Non c'è fede in Cristo, nella sua parola, nelle sue opere senza la resurrezione. Non ha alcun senso affidare la propria esistenza alla parola dell'uomo di Nazareth se essa non è parola capace di sopravvivere alla morte.
L'avevano compreso bene i cristiani della comunità primitiva che avevano fatto della resurrezione il centro della loro opera di evangelizzazione. La predicazione apostolica ruota infatti attorno al Risorto come centro unificante: se Cristo predicava il Regno, gli Apostoli predicano Cristo morto e risorto. Solo a partire dalla prospettiva del Risorto nascono poi le narrazioni riguardanti «Colui che è morto e risorto per noi» che andranno a comporre i Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento.
Paradosso evidente è il fatto che di un evento di simile portata, che ha dato origine a un messaggio capace di segnare indelebilmente la storia dell'umanità, non v'è prova alcuna se non la testimonianza di coloro che erano suoi discepoli, che affermano di aver trovato il sepolcro vuoto e di avere incontrato Gesù vivo dopo la sua morte. Se consideriamo poi il fatto che l'assenza del corpo non è una prova ma solo un segno e che le molteplici testimonianze confluite nel Nuovo Testamento sono spesso contraddittorie, il paradosso è ancora più marcato.
Sempre viva è dunque la domanda cruciale: il fatto che sta alla base delle testimonianze ha qualche crisma di storicità?
Il Nuovo Testamento, al di là delle divergenze tra i testi, afferma univocamente che: la resurrezione di Gesù è un fatto reale che ha riguardato Lui stesso e non solo la nostra fede in Lui; il Cristo risorto è lo stesso Gesù storico sebbene completamente rinnovato. Non va dimenticato però che ciò di cui si parla rientra nella categoria del mistero, dunque difficilmente sottoponibile alle categorie di spazio, tempo, causa-effetto che regolano i criteri di storicità in senso proprio. La resurrezione travalica la storia poiché sta oltre le misure spazio-temporali, pur affacciandosi su di esse.
Possiamo dire che la resurrezione di Gesù è un fatto reale che sta al di là della storia ma che in essa ha lasciato delle tracce e dei segni capaci di sostenere la fede e di fondarla (le apparizioni, la testimonianza apostolica, la nascita della comunità di credenti nel Risorto, gli scritti...).
Tre sono le tipologie di riscontri che abbiamo riguardo la resurrezione e di cui gli scritti neotestamentari portano traccia: le professioni di fede e gli inni, la predicazione missionaria, le narrazioni evangeliche.
Le prime sono proclamazioni della fede nel risorto, standardizzate nella forma, fatte davanti a tribunali, in altri luoghi pubblici o anche in contesti liturgici di cui abbiamo traccia nei testi del Nuovo Testamento (Lc 24, 34; 1Cor 15, 3-5; At 2, 32; 3,15; 5,21; 10,40; Rm 8, 34), oppure composizioni di carattere poetico di derivazione liturgica in cui non si afferma direttamente la resurrezione di Cristo ma si celebra la sua esaltazione (Fi 2, 6-11; Ef 4, 7-10; Rm 10, 5-8; 1Pt 3, 18-22).
La seconda, la predicazione missionaria, fa da sfondo e da canovaccio a molti scritti evangelici; essa infatti dà un carattere di storicità all'annuncio, ancorandolo a fatti, luoghi, momenti, situazioni della vita di Gesù, così che il racconto del Risorto non corra il rischio di essere trasformato in un mito fuori dal tempo. (At 2, 14-39; 3, 13-26; 4, 10-12; 5, 30-32; 10, 37-43).
Le narrazioni evangeliche infine, danno conto del fatto della resurrezione attraverso racconti distesi e ampi, riconducibili a due tipologie principali: la scoperta del sepolcro vuoto e gli incontri con il Risorto. A queste ultime appartengono i brani lucani che approfondiremo.
È da sottolineare il fatto che non esistono narrazioni dell'evento della resurrezione in quanto tale. Il che ci richiama, ancora una volta, l'inenarrabilità di un fatto che si sottrae alle categorie della storia.
I racconti del Risorto in Luca
L'opera di Luca si sviluppa su due volumi pensati l'uno in strettissima connessione con l'altro: Vangelo e Atti degli Apostoli. È il racconto di un'opera di salvezza che comincia da Gerusalemme e si espande fino ai confini della terra, ad opera di Gesù prima e dello Spirito, da Lui stesso inviato, poi. Gesù, il gruppo degli Apostoli, la prima comunità gerosolimitana, l'esplosione missionaria e il sorgere delle chiese in tutto l'oriente fino a Roma: un unico movimento, un’unica storia, un unico piano di salvezza. A far da cerniera tra la "storia di Gesù" e la "storia dello Spirito" i racconti della morte, resurrezione, invio dello Spirito e ascensione al cielo. In maniera particolare, dobbiamo notare come sia proprio la resurrezione-ascensione, narrata alla fine del Vangelo e ribadita all'inizio di Atti, a far da trait d'union tra i due pannelli dell'opera lucana: lo snodo fondamentale che salda l'opera di Cristo a quella della Chiesa apostolica è proprio l'evento della resurrezione. L'opera degli Apostoli rende presente l'opera del Risorto.
I racconti del Risorto in Luca sono concentrati nel capitolo 24 e organizzati come un trittico di apparizioni: le donne al sepolcro (1-12), i discepoli di Emmaus (13-35), l'incontro con gli Undici (36-53). Le tre parti sono organizzate secondo un crescendo che tocca vari aspetti: i testimoni sono in ordine di autorevolezza e di ufficialità; il manifestarsi del Risorto è sempre più tangibile di apparizione in apparizione; il dubbio e la perplessità che attraversano i racconti tendono ad attenuarsi fino all'adorazione del v. 52 e la qualità della fede si approfondisce dalla certezza interiore delle donne, passando per quella dei segni di Emmaus fino alla consapevolezza che il Risorto e il Crocifisso sono la stessa persona.
Tutto si svolge a Gerusalemme e dintorni, luoghi di approdo della missione di Gesù e punti di partenza di quella apostolica. Così Luca, insieme a Giovanni, contribuisce a costruire il modello gerosolimitano delle apparizioni, distinto, anche se non così radicalmente dissimile da quello galilaico. Caratteristica di questo tipo di racconto è la struttura tripartita secondo questo schema: apparizione inaspettata del Risorto, riconoscimento e superamento dell'incredulità, missione affidata a coloro a cui il Risorto appare con la promessa dello Spirito. I tre elementi contengono già delle affermazioni teologiche precise riguardo l'esperienza dell'incontro con «Colui che vive»: il fatto che Egli si faccia vedere e che mai siano i discepoli a vederlo, mostra la passività del discepolo nell'incontro e l'iniziativa divina; il riconoscimento avviene gradualmente, liberamente e collettivamente; l'incontro segna e cambia radicalmente la vita futura dei discepoli, coinvolgendoli in un'attività che non sarà la semplice continuazione della predicazione pre-pasquale ma consisterà in una novità generata dallo Spirito.
Le donne al sepolcro - Lc 24, 1-12
1Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro 3e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. 5Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea 7e diceva: "Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"". 8Ed esse si ricordarono delle sue parole 9e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. 11Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. 12Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto.
Lectio
24, 1: la menzione del primo giorno della settimana, unita al frequente riferimento ai pasti ricorrente nei racconti di apparizioni ci lascia pensare che il contesto in cui sono nati questi racconti è quello liturgico. Con una certa probabilità le prime assemblee fatte in memoria di Cristo furono occasione dell'incontro con Lui e si stabilizzarono in seguito come memoria pasquale del Risorto. Dai versetti precedenti sappiamo che gli aromi erano già stati preparati il venerdì e che il sabato era stato dedicato al riposo previsto dalla Legge mosaica. In contrasto con questo clima di richiamo alla morte e di assenza di urgenza, c'è la fretta della domenica mattina e la mancata preoccupazione riguardo il modo di aprire il sepolcro. Incongruenze del racconto che creano un clima di attesa e anticipazione in chi legge e insieme suggeriscono la totale impreparazione all'evento della resurrezione da parte delle donne.
24, 2-3: le donne vengono proposte come testimoni oculari e sappiamo bene la straordinarietà di una scelta di questo genere, considerata la scarsa attendibilità che veniva attribuita alle donne. La centratura su di esse è molto marcata da verbi di azione che le contraddistinguono: «trovarono la pietra... entrate... non trovarono».
24, 4: la tomba vuota però non suscita nelle donne alcuna fede, solo perplessità. L'assenza del corpo non è dunque motivo di fede nel Risorto, occorre una parola chiarificatrice che le donne non sanno però recuperare da sole nelle memoria di ciò che Gesù già aveva annunciato.
24, 5: la reazione delle donne dice il timore ma anche suggerisce l'atteggiamento rispettoso di fronte al divino. Le parole interrogative degli angeli suonano come un rimprovero: le donne avrebbero dovuto già capire. Fondamentale però è l'espressione usata per definire il Risorto: «Colui che è vivo». Tipica di Luca, essa lascia intuire che Gesù non è semplicemente scampato alla morte ma è stato introdotto in un'esistenza totalmente rinnovata. Egli è il Vivente, Colui che possiede la vita in tale misura da annichilire la morte. Luca ha a cuore che i suoi lettori guardino a Cristo non come ad un fantasma, bensì come una presenza efficacemente e realmente operante dentro la vita della Chiesa.
24, 6-7: la funzione dell'apparizione angelica è far affiorare dalla memoria delle donne ciò che dalla parola del Maestro vi era stato deposto. La comprensione della resurrezione non passa solo attraverso la visione di segni (Angeli e sepolcro vuoto) ma attraverso un esercizio di memoria e di ripensamento anzitutto delle vicende della Croce. Se è vero che la resurrezione illumina la vita di Cristo, è altrettanto vero che senza le vicende pre-pasquali non si coglie il senso della resurrezione. Il dono che Gesù fa di sé e della propria vita e che viene perfettamente compiuto nella Croce ha nella resurrezione il segno che dichiara la divinità di una simile economia di vita. La vita senza fine del Risorto non è un banale riscatto da una sconfitta, bensì il logico compimento dell'annuncio che perdere la vita per il Vangelo è trovarla. Se la resurrezione diviene una conferma di Gesù quale Messia Salvatore, la Croce permette di comprendere che genere di Messia e quale tipo di Salvezza siano in questione. Acquista dunque un grandissimo rilievo ai fini della comprensione e poi della missione dell'annuncio il fatto che le donne abbiano condiviso il tempo pre-pasquale con Gesù. Non è un caso che anche il tredicesimo apostolo sia scelto seguendo un criterio simile: «Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua resurrezione» (At 1, 21-22).
24, 8-9: il ricordo suscita la fede, o almeno un suo inizio e trasforma le donne nelle prime apostole della resurrezione, nei confronti di coloro che saranno le colonne della Chiesa del Risorto.
24, 10-12: il raccontare delle donne è all'imperfetto, che indica il ripetersi di un'azione. Dunque le loro parole hanno un'insistenza a fronte della quale l'incredulità degli apostoli appare a tutti gli effetti come una radicale e ostinata mancanza di fede. Il motivo è teologico, in Luca: non c'è alcun disprezzo da parte degli apostoli e nemmeno una mancata fiducia nelle donne, piuttosto l'affermazione del fatto che la fede nel Risorto da parte dei testimoni ufficiali nasce dall'incontro con Lui, non da una tomba vuota, né da una testimonianza indiretta.
Meditatio
Incredulità
L'evento della resurrezione appare come totalmente inaspettato a tutti i discepoli, proprio a coloro che avevano strettamente condiviso il percorso di Gesù e che avevano anche ascoltato dalla sua voce l'annuncio degli eventi pasquali. Se da un lato questo ci dà la misura dell'incredibilità effettiva del fatto della resurrezione, dall'altro ci ricorda che la dimensione dell'incredulità è radicata, tenace e forte in ognuno di noi.
È importante però sottolineare che l'incredulità dei discepoli era semplicemente la conseguenza del toccare con mano ogni giorno che nulla era più forte della morte, senza avere mai avuto smentita alcuna. L'elemento della sfiducia nei confronti della potenza della vita davanti alla violenza della morte sembra essere qualcosa di connaturato all'uomo che ha la tendenza a lasciarsi schiacciare e soggiogare dalle logiche di morte. Tutto questo però non ci deve spaventare. I racconti evangelici parlano dell'esperienza dell'incredulità - il lasciarsi prendere dalla sfiducia davanti alla morte - come di un passaggio inevitabile. Di questo occorre essere consapevoli. La fede nella Pasqua, chiede una dinamica pasquale: deve morire nell'incredulità per riceversi nuova dalle mani di un Altro.
Memoria della Croce
La sfiducia in tutte le sue forme mette quasi sempre radici in un fallimento o in un’esperienza dolorosa. Non di rado, rimettere in gioco la propria fiducia o chiedere fiducia all’altro comporta una archiviazione dell’esperienza negativa. «Ricominciamo come se non fosse mai successo nulla».
La Pasqua mostra il fallimento della Croce sotto una luce nuova e la Croce dà alla Pasqua un significato particolare, come abbiamo spiegato sopra. Cadute e ripartenze, fallimenti e riscatti devono sempre restare in dialogo reciproco. Così la fiducia rinnovata non archivia le eventuali esperienze negative ma dà una prospettiva per reinterpretarle e ricollocarle dentro la vicenda personale, ricevendo da esse nuovi significati e valenze.
L’esercizio della memoria che faccia dialogare fallimenti e ripartenze apre il cuore all’annuncio pasquale e dà alla fiducia uno spessore evangelico.
Il Vivente
Affermare e celebrare Gesù come il Vivente significa comprenderLo, sperimentarLo, confessarLo anzitutto come Presenza Operante al nostro fianco che genera vita oltre ogni possibile morte. Non un vago ricordo, non la sensazione consolante di qualcuno che ci tiene compagnia, non un fantasma aleggiante di non ben specificata utilità. Piuttosto un Alleato, reale, concreto, efficace che si manifesta come forza in tutto ciò che nel nostro agire persegue obiettivi e ideali di bellezza, di bontà, di verità, di giustizia, di armonia, di pace, di vita e come "resistenza" contro tutto quello che in noi, con noi, per noi procede in direzione opposta.
La fiducia che abbia una caratteristica evangelica e che contenga in sé la qualità dell'annuncio cristiano mette le proprie radici nella consapevolezza e nella certezza dell'operare del Risorto al nostro fianco. Non è una generica ed eroica speranza nel fatto che «qualcosa di buono c'è comunque... che bisogna dare più di una possibilità...». È piuttosto la decisione credente di collaborare con il Vivente. Perciò la fiducia cristiana non si declina come sconsideratezza, ingenuità, mancanza di prudenza, gusto per l'inutile rischio, bensì il contrario. Ricordando che la prudenza cristiana non mette radici nella paura, bensì nel dovere di collaborare con il Vivente nella difesa della vita.
Bibliografia
1. Risurrezione di Gesù e messaggio pasquale, X. Léon-Dufour, 1987, Edizioni Paoline, Cinisello
2. I racconti evangelici della risurrezione, R. E. Brown, 1992, Queriniana, Brescia.
3. I racconti evangelici della risurrezione, B. Maggioni, 2001, Cittadella Editrice, Assisi.
4. Il Vangelo di Luca, G. Rossé, 1992, Città Nuova, Roma.
5. Il Crocifisso Risorto, F.G. Brambilla, 1998, Queriniana, Brescia.