Certe volte è il «nonostante» a far la differenza nella vita e, spesso, anche nella fede. Me l'hanno suggerito un albero e un rottame. E si può imparare la fede perfino da una pianta.
Ma tu guarda quella pianta. Le piazzano un rottame sulla testa quando ancora è appena un arbusto e lei? Niente niente e s'ingegna un altro modo d'esser pianta.
Che a ben vedere tutti i diritti per recriminare e maledire il fato avverso li avrebbe pure avuti. Anzi, volendo, aveva tutte le ragioni per gettare la spugna: con quell'ostacolo ingombrante tra i piedi sarebbe stata una condanna più che una vita.
Invece no. Ostinato, il vegetale. Il metallo pesa, taglia, gela, urta. Embè? Lui cresce. Lento, paziente, fiducioso. Terra ce n'è, acqua pure, il sole non manca, il cielo attira. Quanto basta.
Ok, ok. Ovvio: meglio senza il rottame; oltretutto non è che lo si possa considerare proprio un dettaglio. Ma a quanto pare non è stata una ragione sufficiente a gettare la spugna.
La vita spingeva, urgeva, voleva. Fortissimamente voleva.
Ora si abbracciano, la pianta e il rottame. Un intreccio. Pare che si amino, si penetrino. Formando un tutt'uno più unico che raro. Il disagio trasformato in ricchezza.
Un bel simbolo, un bel messaggio. Qualcosa che addirittura ha il sapore della Pasqua di Gesù, che abbracciando la Croce e portandosela nel sepolcro ne ha fatto un vita nuova e unica.
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Mi fermo stupito ogni volta che la Vita mi dimostra la sua potenza. Quando si manifesta nelle cose, ma ancor più nelle persone.
Quelle che davanti alle loro debolezze, alle ferite, alle disavventure, agli ostacoli della vita han detto forte e chiaro il loro «nonostante».
Quelli che hanno abbracciato il rottame che schiacciava la loro esistenza e piuttosto che perder tempo a recriminare contro un destino avverso, hanno fatto dell'intreccio tra sé e il corpo estraneo un connubio unico e sorprendente.
Ma ci vuol sempre poco perché il pensiero mi corra anche a quelli che non sono riusciti a dire il loro «nonostante» e la spugna l'han gettata con violenza e disprezzo, insieme a tanto dolore.
Restano lì a puntare il dito contro le mie riflessioni nobili da prete e da credente, sospese tra lo spirito e la poesia, invocando più misericordia che idee.
Anzi, si piantano come un rottame sopra la mia scintillante e perfino arrogante fede nella vita e nel Dio della vita.
Devono essere un invito, mi sa.
Forse quella pianta ha ragione. La fede per vivere e crescere deve abbracciare i suoi ostacoli e i suoi scandali. Perdendo in linearità ma guadagnando in compassione. Solo così ha speranza di restare viva.
Nonostante.