Il Vangelo del Regno: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (Mt 9, 36 - 10, 15)
Lectio su Mt 9, 36 - 10, 15 proposta a un gruppo di giovani coppie di Lecco.
36Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore . 37Allora disse ai suoi discepoli: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!". 1 Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. 2I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, colui che poi lo tradì. 5Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: "Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. 9Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, 10né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento. 11In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti. 12Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. 13Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. 14Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. 15In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città.
Ascolta il commento:
Il contesto del brano.
La parte del Vangelo di Mt che va da 4, 23 a 11, 30 racconta l'attività in parole e opere con cui Gesù si rivolge ad Israele. È un'attività che ha caratteristiche ben precise: «Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattia e infermità del popolo» (Mt 4, 23). Dunque: annuncio-insegnamento del Vangelo del Regno e guarigioni. Al popolo di Israele, Gesù porta la notizia della prossimità della signoria di Dio e insieme fa toccare con manoquali sono le intenzioni e gli effetti del potere da Lui esercitato. C'è una prima "ondata" di questa azione con il grande discorso della montagna dei capitoli 5-7 e la serie di guarigioni di 8-9. Nel discorso Gesù dà alla sovranità di Dio - il Regno - i tratti dell'amore di un Padre e al discepolo del Regno - colui che si sottomette a tale sovranità/paternità - quelli di un figlio abbandonato alle cure del Padre e obbediente ai suoi comandamenti. Nella serie dei miracoli, Gesù dà corpo all'annuncio di salvezza rivolto a Israele, che appare dolente, ferito, in attesa di un sollievo dai mali che lo affliggono. Le parole e le opere di Gesù annunciano il Regno come un principio di guarigione, di liberazione, di consolazione, di misericordia, di riscatto; in una parola: di salvezza. Un principio, però, che chiama alla collaborazione e invita alla Sequela, a un discepolato che, anzitutto, traduca in scelte di vita, in pratica concreta, la propria adesione. La seconda ondata è aperta dalla ripetizione della descrizione dell'attività di Gesù: «Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità» (Mt 9, 35). C'è dunque il secondo discorso, cosiddetto missionario, nel quale Gesù, dopo aver esteso la sua autorità e il suo potere ai dodici, li invia ad estendere la sua opera, dando loro una serie di indicazioni circa i comportamenti da tenere e preparandoli a ciò che potrebbero incontrare. La sezione che commentiamo è tratta da quel discorso. Il contesto del testo e dei suoi contenuti è dunque quello del manifestarsi della cura amorevole e liberante del Padre nei confronti dei suoi figlie di una narrazione del mistero di questa potenza salvifica, rigenerante, armonizzante, riconciliante e pacificante. Una potenza trasformante che dà alla vita di chi la accoglie i tratti di una bellezza paradossale. La missione dei discepoli si colloca dentro questo movimento e da lì deve essere compresa: l'agire dei discepoli si aggancia a quello di Gesù che devono guarire come Lui guarisce e ripresentare il Suo insegnamento con una vita conforme al discorso della montagna. Potremmo dire che l'unico obiettivo della missione è dare forma alla cura del Padre, così come ha fatto Gesù, facendo toccare con mano agli uomini il fatto che Dio è mosso a compassione dal destino delle genti. Se dovessimo sottoporre tutto il lavoro pastorale, che volentieri chiamiamo missionario, al vaglio di questa prospettiva, molto di ciò che facciamo apparirebbe poco in consonanza con le richieste evangeliche. Anche considerando l'immagine di Chiesa missionaria che emerge da Mt 10 a confronto con l'immagine della Chiesa attuale ci si accorge che lo scarto sembra notevole. E dunque, come stare davanti al discorso di Gesù, come a un reperto archeologico da museo ormai impraticabile? Possiamo credere che il Vangelo abbia delle parti morte? Se invece crediamo al Vangelo come parola vivente, il discorso missionario non può che scuotere fortemente il modello di comunità cristiana - partendo dalla sua cellula, la famiglia - che normalmente confezioniamo.
«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque». (Mt 9, 36-38)
L'apertura del discorso è la compassione che Gesù prova per il popolo e che dà immediatamente il tono a ciò che seguirà. Il verbo che la descrive indica un grande trasporto interiore e profondo, una commozione che scuote Gesù fin nel suo intimo, come avesse quella gente letteralmente nel suo grembo. Il mandato ai discepoli mette radici in un sentimento di forte compartecipazione da parte di Gesù - e dunque del Padre - delle sofferenze del popolo. Le vicende di Israele toccano profondamente il cuore di Dio e l'opera dei discepoli dovrà esprimere tutta la portata di tale trasporto e tutta la forza della Sua volontà di salvezza. Quindi il primo passo che il discepolo deve muovere è nella direzione della compassione di Gesù: anche loro devono portare in grembo l'umanità. Senza quella compassione, non c'è missione cristiana che possa essere considerata tale. È dunque chiaro fin da subito che l'esperienza del discepolato è qualcosa che ha a che fare con un popolo, che è legata al destino di altri uomini, che è pensata originariamente come missionaria. Se vuoi accogliere il Vangelo devi sapere che la prima conseguenza è che la tua vita si lega a quella degli altri e viceversa. Il discepolo è «originariamente» missionario! Non si tratta di essere prima discepoli e poi missionari, magari prendendo una specializzazione in tecniche missionarie. Il Vangelo che accogli ti fa discepolo legandoti ad altri verso i quali sei chiamato ad andare. Misconoscere quel legame segna la fine del discepolo. Accoglierlo è nascere come discepolo del Vangelo. Questa consapevolezza smonta l'idea che andare verso l'altro sia segno di particolare eroismo e nobiltà d'animo del cristiano. Ne è semplicemente uno degli elementi costitutivi più determinanti. La comunità dei discepoli è dunque una comunità che "sporge" verso l'esterno, legata al destino di altri e implicata fortemente nelle loro vicende. La Chiesa che prende le distanze dal mondo non è la Chiesa di Gesù Cristo. Tantomeno quella che "gode" del perdersi dei lontani, che esulta per la morte dei suoi nemici, che spera nei castighi divini. Gesù che si ritrova a piangere per il destino di Gerusalemme e di coloro che continua a trattare da fratelli benché lo considerino nemico: quello è il modello del cuore di ogni credente. Il popolo agli occhi di Gesù è, letteralmente, «tormentato, angustiato, schiacciato a terra». I discepoli sono coinvolti nella commozione del Maestro, sono invitati a constatare a loro volta lo stato di abbandono in cui versano le folle e a farsene carico. L'immagine della mietitura ha un forte carattere escatologico e richiama sempre il tema del giudizio, il che significa che l'annuncio dei discepoli e la loro opera missionaria ha un carattere di giudizio su quel tempo. Il Regno che viene, la paternità di Dio all'opera è il «giudizio». Ci si aspetterebbe da parte di Gesù l'invito a rimboccarsi subito le maniche e a darsi da fare, invece il primo ordine è spiazzante: «Pregate». Considerando come Mt ha costruito il discorso della montagna - il ritratto del discepolo del Regno - non ci si dovrebbe stupire: nel cuore dei precetti del Regno sta il Padre nostro. ll nucleo incandescente dell'esperienza del discepolo è la relazione con il Padre e il movimento di consegna a Lui. Non c'è annuncio più trasparente ed efficace del vivere intensamente e appassionatamente il legame con il Padre, rendendo palese la totale, serena e fiduciosa dipendenza da Lui. La preghiera è l'ammissione dell'inadeguatezza, la dichiarazione che la salvezza proviene da un altro, il riconoscimento immediato del fatto che così com'è la missione è fuori portata. Dunque è una presa di consapevolezza che permette di dare poi alle proprie azioni la giusta misura e la corretta direzione. Attenzione alle derive tipo: «Ah la preghiera risolve tutto… basta pregare che… in fondo tutto quel che serve è la preghiera…». I discepoli sono invitati a pregare ma poi anche a rimboccarsi le maniche prendendosi le loro responsabilità! La preghiera è fondamentale per «ricentrare e ricentrarsi» non per disimpegnarsi.
«Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere» (Mt 10, 1-5a)
Ne sceglie dodici, come le tribù di Israele. Sono mandati al popolo, a quel popolo, a tutto quel popolo. A costoro viene data la possibilità di partecipare dell'autorità di Gesù, un potere che è anzitutto potere di guarigione. È sorprendente vedere la condivisione di un potere! Normalmente chi ha un potere - con tutti i privilegi e prerogative collegati - tende a difenderlo e si guarda bene dal condividerlo. Il Dio di Gesù Cristo condivide il suo potere e non si tratta di un potere di secondo ordine, un premio di consolazione, si tratta del Suo potere. Il livello di corresponsabilità e compartecipazione annunciato dal gesto di Gesù è altissimo. Non un potere per compiere grandi opere, nemmeno per difendersi, ancor meno per convincere. Non una forza per soggiogare, per tenere legati, per governare e condurre. Bensì una forza per liberare dal male, per guarire dall'infermità, per ridonare la vita. Dovessimo mettere sotto la lente di ingrandimento di questa consegna, i poteri di cui i discepoli di Cristo hanno voluto dotarsi nei secoli o i potenti con cui hanno stretto alleanze, c'è di che rabbrividire. L'esistenza della cerchia dei dodici è data per presupposta, il che significa che l'attenzione non è rivolta tanto alla loro istituzione, bensì alla consegna del potere: essi hanno un potere che proviene da Gesù, continueranno a mantenerlo perché Lui rimarrà con loro (Mt 28, 5) e ne potranno godere nella misura in cui resteranno saldi nel legame con Lui. Il versetto esordisce chiamandoli «discepoli» in prima battuta e poi «apostoli» aprendo il mandato alla Chiesa di ogni tempo. Nei dodici c'è l'archetipo della costante missione della comunità. Dunque ciò che i discepoli di ogni tempo dovrebbero sempre fare è radicato nell'incarico dato da Gesù ai suoi. Ci sarebbe da riflettere profondamente sul grado di verità, di attualità, di consapevolezza e di realtà effettiva di questo mandato sia a livello personale che ecclesiale. Da notare è il fatto che in missione vengono mandati coloro ai quali è stato dato il potere. Prima vengono resi partecipi della Sua autorità, poi vengono inviati. Se ne colgono due sottolineature: sono le relazioni a caratterizzare il discepolo, con il popolo e con il Signore; i gesti da compiere devono essere i medesimi del Maestro. I contorni della missione sembrano dunque essere molto precisi e ben definiti. C'è un orizzonte in cui collocarsi, qualcosa di puntuale da compiere, un'autorità che è solo di un certo tipo, dei poteri che hanno una finalità chiara.
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (Mt 10, 5b-15)
Poste le premesse, si passa alle indicazioni concrete che mettono sempre una certa soggezione per la radicalità con cui si caratterizzano e per la forza con cui mettono in discussione un cristianesimo sedentario come il nostro, che non ha quasi nulla più a che fare con il ritratto originario dei discepoli inviati da Gesù: poveri in canna, itineranti, spogli, indifesi, senza strumenti né strategie, senza protezioni o appoggi di potenti, senza stabilità e nella costante precarietà. Da brivido. È la fotografia dei radicali itineranti dei primi tempi che Matteo e la sua comunità vedevano all'opera. Il loro appartenere ai primordi della Chiesa ce li fa guardare come "reperti archeologici" di un'altra epoca, anacronistici e fuori da tempi come il nostro. Cristiani così, oggi, sarebbero plausibili? Ma possibile che esistano pezzi di Vangelo - Parola viva e vivente - da destinare solo al museo? Leggiamo le singole raccomandazioni e vediamo che indicazioni possiamo raccogliere. 1. Il focus su Israele L'espressione è fortemente esclusiva: «solo alle pecore perdute di Israele» e dunque un po' fastidiosa da ascoltare. Può apparire stridente con l'orizzonte universale dell'annuncio evangelico, ma va semplicemente compresa nella linea del compimento delle promesse messianiche. Gesù stesso concepisce la propria missione dentro i confini di Israele e, nel filo della narrazione, non è ancora uscito dai suoi territori (con una piccola eccezione al cap 8). La resistenza di Israele lo condurrà però a una svolta radicale, apparentemente mai considerata prima, che apparirà nel finale del Vangelo con l'invio dei discepoli «a tutte le genti» (Mt 28), o meglio, «ai gentili» cioè ai non appartenenti a Israele. La Chiesa dei «gentili» prenderà il posto di Israele che ha rifiutato il suo Messia. È il lievito che gettato nella pasta la fa crescere fino a che sia tutta fermentata, e Matteo con la sua comunità è già testimone del successo della missione alle genti. 2. Predicazione, miracoli e guarigioni C'è anzitutto un compito di annuncio della prossimità del Regno. Va ricordato che in Matteo l'annuncio del Regno e l'insegnamento dei comandamenti voluti da Gesù vanno di pari passo, non c'è l'uno senza l'altro. Il Regno è l'orizzonte dell'etica del discepolo insegnata da Gesù. Inoltre, il perfetto discepolo secondo Matteo è colui che adempio in pienezza gli insegnamenti del Maestro. Nel compito di annuncio è implicito il dovere di una pratica fedele dei comandi del Gesù terreno e di un invito ad osservarli, l'una inseparabile dall'altro. Mentre noi spesso giustapponiamo la coerenza del discepolo a ciò che annuncia come una condizione di buona riuscita della missione - se non sei coerente non sei attendibile - essa andrebbe invece compresa come il contenuto stesso della missione. Il potere di fare miracoli è dato stabilmente ai discepoli. Se è vero che il brano si riferisce non solo ai dodici ma alle comunità di discepoli di ogni tempo, c’è da domandarsi con schiettezza che fine abbiano fatto i miracoli… 3. Non procuratevi Le raccomandazioni circa l'equipaggiamento non hanno in Matteo la funzione di ribadire il pericolo delle ricchezze, perché nel suo Vangelo è ribadita più volte, con forza e mai messa in discussione. La preoccupazione di Matteo - forse a partire da episodi concreti della sua Chiesa - è nei confronti del pericolo di trasformare l'opera di annuncio in un vero e proprio business. L'espressione, infatti, è proprio quella: «Non procuratevi», non fate dell'impegno apostolico una fonte di guadagno e un'occasione di accumulo. Il vitto sia garantito, ma senza nessuna paga! Allo stesso modo, chi si è procurato in anticipo abbigliamento, calzature, armi non è adatto a proclamare il Regno. Povertà e mancanza di difesa sono per Matteo assolutamente parte integrante dell'annuncio evangelico. Come detto sopra, il discorso della montagna deve incarnarsi nell'esistenza di chi è inviato ad annunciarlo. Non si tratta di un fatto dimostrativo al modo dei profeti, tutt'altro. È solo l'evidenza dell'accoglienza, anzitutto da parte del discepolo, della parola di cui si fa portatore. C'è di che soffermarsi a riflettere e meditare circa l'attuale situazione personale ed ecclesiale, a confronto con la radicalità di queste parole. 4. Cercate chi è meritevole Le ultime raccomandazioni vanno lette con attenzione. Si tratta dell'invito a cercare alloggi convenienti, evitando sia situazioni imbarazzanti in contesti che avrebbero potuto minare l'azione missionaria sia la ricerca della sistemazione migliore o più comoda. Probabilmente le esperienze missionarie della comunità di Matteo erano andate incontro a episodi spiacevoli e qui ne vediamo la traccia. Va compreso proprio nel senso della prudenza: fate attenzione a quel che fate, a dove andate, a chi frequentate; non siate ingenui, superficiali e faciloni perché la missione è cosa seria e va trattata come tale. Il che non è certo in contrasto con il suggerimento ad essere indifesi, perché qui non si tratta di curare se stessi bensì di avere la massima cura e attenzione per il compito che si sta svolgendo L’invito è a creare subito una condizione di fraternità, rendendo evidente come l’annuncio del Regno sia un annuncio pacifico in vista della comunione. Lo scuotimento della polvere va preso in tutta la sua severità: si tratta di un giudizio vero e proprio. Allo stesso tempo è anche indice del grado di libertà che il discepolo deve possedere nella sua opera di annuncio: occorre che sia così sciolto da poter perfino prendere le distanze. Da notare che la condizione di precarietà è garanzia di questa libertà. C’è davvero da chiedersi quanto e se le comunità cristiane che hanno messo radici hanno mantenuto questa libertà di movimento.