«Il pane che io darò è la mia carne». L'Eucarestia non è un rito magico.
Omelia su Gv 6, 41-51 (Quarta Domenica dopo il Martirio del Precursore - Rito Ambrosiano)
I Giudei si misero a mormorare contro il Signore Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
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«Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?»
Togli gli strati di catechesi e devozioni eucaristiche. Sposta le biblioteche di teologia sacramentaria e di dottrina del Corpo e Sangue di Cristo. Leva per un attimo gli occhiali delle innumerevoli messe a cui hai partecipato.
Non ti resteranno in bocca che le parole dei contemporanei di Gesù.
C’è un uomo che dice di volersi dare in pasto.
Pare che lo scopo della sua vita sia beneficare e beatificare gli altri.
Sostiene, tra le righe, che c’è un solo modo di vivere in pienezza l’essere umani ed è il dedicarsi alla vita del prossimo perché sia la migliore possibile.
Farlo sempre, senza risparmio, senza porre condizioni.
Per chiunque, comunque.
Ma anche lasciarsi nutrire in quel circolo di dono reciproco che fa splendere l’umano di una bellezza unica al mondo.
Così come gli ha mostrato nel segno dei pani condivisi.
Dice che in questo modo di essere umano lui vede Dio faccia a faccia.
Che ogni volta che la sua umanità «diventa cibo» per gli altri è allora che «sa di cielo».
Lo ammazzeranno per questo. Perché una parola così scuote il mondo.
Non c’è nessuna rivoluzione nell’attendere pani miracolosi dal cielo, mangiati i quali si muore comunque.
C’è invece nell’essere «pane del cielo», umanità che si fa dono, a immagine del Dio che è tutto Dono.