Mettessimo via gli incensi per una volta. Riponessimo i paramenti damascati e gli arredi preziosi. Facessimo tacere le parole roboanti e i discorsi sublimi. Potessimo sospendere una volta il celebrare ampolloso e riuscissimo nel miracolo di lasciar spazio alla grammatica di Dio.
Il profumo del vino versato e la fragranza del pane spezzato. L’aroma aspro e intenso del convivio umano. Il sottofondo di un colloquiare familiare. Il suono dolce di parole drammatiche ma cariche di misericordia. L’odore acre della paura che si mescola alla terra e alle foglie d’ulivo. La luce delle torce e lo sferragliare delle armi. Il calore di un bacio seppur violento. Il sapore delle lacrime del pentimento. Il canto di un gallo mattiniero. Tutto questo, tutto di quell’inizio di Passione è teofania, è manifestarsi di Dio. Sapessimo dargli voce ancora e per sempre. Perché il primo e più vero atto di fede sta nel riconoscere e rispettare che il modo di rivelarsi di Dio ha i contorni di una vicenda assolutamente e indiscutibilmente umana. E’ lo straordinario che avviene nell’ordinario. E’ l’infinito che accade nel particolare. E’ l’eterno racchiuso in un istante.
Il velo dal Volto di Dio cade nell’intimità di una cena tra amici. Un cena solita. Tradizioni consumate. Parole note. Gesti consueti. Una festa, sì, ma non proprio la cornice dei grandi eventi in assoluto. Avviene così che Dio si sieda a tavola con colui che lo rifiuta mostrando la propria Condiscendenza. Accade con questa banalità che Dio divida il piatto con l’ateo per eccellenza. E’ addirittura urtante l’essenzialità di quel “Tu l’hai detto” rivolto al traditore: quattro parole in cui sta tutta la volontà di Dio nel rimettere sempre in gioco l’uomo e la sua autodeterminazione senza mai ingabbiarlo. La misura del Perdono di Dio si mostra in un tozzo di pane offerto e un sorso di vino condiviso. Nulla che non fosse già noto. Niente con cui non ci fosse familiarità. Giusto quelle frasi che aprono uno spiraglio sul mistero divino: “Il mio corpo… il mio sangue… per la remissione dei peccati”. Dio si dona totalmente e incondizionatamente agli uomini, senza distinzione tra giusti e ingiusti, tra santi e peccatori. Avviene così, con parole e gesti d’uomo, nel riserbo di una cena privata. Non sono certo altre le forme che assume la Pazienza di Dio. Ha il suono dell'annuncio consapevole, franco e insieme dolce di un prossimo rinnegamento. E’ narrata così, come una fragile profezia, la profonda conoscenza del cuore dell’uomo da parte di Dio e il Suo restar fedele nonostante il peccato. La comprensione e la condiscendenza per la sonnolente stanchezza dei discepoli, l’ordinarietà di un bacio mortifero accettato, l’ingenuità del chiamare “amico” il proprio omicida, l’ambiguo rifiuto dello scontro, l’accettazione silenziosa dell’abbandono dei propri seguaci sono i tratti definitivi della disponibilità di Dio a lasciarsi fare dall’uomo e il consegnarsi disarmato nelle sue mani. La qualità della Solidarietà di Dio con le vicende umane ha l’aspetto di un uomo che piange. Cosa c’è di differente da altri condannati a morte? Cosa distingue quelle lacrime da quelle di ogni altro uomo che vede la propria fine? Cosa c’è di così unico in quella preghiera levata al cielo? Nel grido dell’orto degli Ulivi, nel fremito della paura di Gesù, nell’angoscia del dubbio che lo assale, nel gelo della fragilità che avverte. Lì avviene la condivisione di Dio del dramma umano e il suo attraversare il male perché l’uomo non si senta più solo.
La grammatica di Dio e del Suo esprimersi segue le regole dell’umano e del creato. Ma noi non crediamo a questa umiltà che solo un Dio può avere e che è un’infinita prossimità. Perché un Dio così vicino, così delicato, così feriale spegne, alla fine, i nostri sogni di gloria. Il sogno di ogni uomo è essere un dio. Ma certo non un Dio così. Uno il cui modo di manifestarsi è l’arretrare il suo agire potente per avanzare l’offerta di una presenza amante. E via coi damascati, gli incensi e gli arredi preziosi. Avessimo il coraggio di ascoltare davvero quel linguaggio spoglio non udremmo che una parola emergere da ogni gesto ed espressione di Gesù e raccogliere in sé la Solidarietà, la Pazienza, il Perdono, la Condiscendenza: Misericordia.
Riascolta i fatti di questa prima notte di Passione assecondando la grammatica di Dio e vedrai la Misericordia prendere le sembianze confidenti di un fatto intimo, ordinario, familiare, come di una cena tra amici. Ti accorgerai quanto profondamente conosca la durezza e la difficoltà dell’essere uomo, e perciò di come abbia la sostanza di una perenne apertura e disponibilità al cambiamento del cuore, dell’assoluta assenza di giudizio e della fiducia nella sintonia tra il bene e l’animo umano. La vedrai agire come una resistenza attiva al male nella forma di un rimanere accanto e ostinatamente in comunione anche con chi oppone il rifiuto definitivo. La comprenderai come un resistere fedele che non crea mai le distanze bensì le accorcia nel desiderio della consegna totale, gratuita e indifesa di sé, pur nel rispetto assoluto della libertà dell’altro.
E chissà che non ti accorga di quanto ti sia vicina e di quanto poco ti serva per passare dalla grammatica alla pratica.