«L’alternativa al prepotente». Giovanni Battista e il suo tramonto.
Omelia della Quinta Domenica d’Avvento
Che la vita sia un progressivo «componimento» e non un lento e inarrestabile decomporsi è la speranza di Natale e poi di Pasqua. E di Giovanni Battista che tramonta. Ma quanto possono essere belli e riusciti i tramonti?
Il Signore Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea, e là si tratteneva con loro e battezzava. Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione. Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire».(Giovanni 3, 22-30)
Dal tramonto all’alba.
Gesù lascia la Giudea e l’evangelista ce lo descrive intento in un’attività battesimale del tutto simile a quella di Giovanni il Battista, un fatto, questo che sembra non essere un evento occasionale ma una pratica abituale protratta nel tempo. Sorge l’idea di una possibile concorrenza, anche a partire dalla voluta sottolineatura del fatto che l’arresto del Battista non era ancora avvenuto. I discepoli di quest’ultimo sembrano leggere la situazione proprio nei termini di una gara tra battezzatori. Una discussione avuta con «un giudeo» riguardo la «purificazione» (il contesto non fa pensare a una diatriba sulla purità in generale ma al valore purificatore dei battesimi di Giovanni e Gesù) diventa l’occasione per manifestare il loro disappunto nel vedere il Battista “perdere mercato”. Si rivolgono a lui chiamandolo «maestro» per avere lumi, dimostrando di avere ascoltato ciò che Giovanni aveva già detto di Gesù al di là del Giordano, ma dando prova, allo stesso tempo, di non averlo capito fino in fondo. Giovanni risponde in tre battute. La prima è un breve aforisma con il quale intende far capire ai suoi che tutto ciò che Gesù ha gli viene da Dio. Dunque il fatto che molti accorrano a Lui è espressione della volontà di Dio, non il frutto di dinamiche concorrenziali. Con il secondo argomento ricorda ai suoi di avere già in precedenza riconosciuto la superiorità di Gesù e li chiama a testimonianza del fatto che già aveva detto di sé di non essere il Cristo, ma solo il messaggero che l’avrebbe preceduto. Dunque, la folla che corre da Gesù non fa altro che dare credito alle previsioni del Battista, confermando ulteriormente la solidità della sua parola e del suo ruolo di precursore-testimone. Nell’ultimo passaggio il Battista si affida a una brevissima parabola per descrivere la qualità del suo rapporto con Gesù. Identificandosi come amico dello sposo (Gesù) si attribuisce un ruolo di una certa importanza (accompagnare lo sposo e portare la futura sposa dal padre al fidanzato) ma ovviamente e palesemente di secondo piano. Motivo della gioia dell’amico dello sposo non è certo farsi concorrente per sottrargli l’amata. Così per Giovanni è fonte di gioia grande il solo ascolto della voce di Gesù, ammirando il compiersi della sua “unione con la sposa”. L’obiezione dei discepoli è così archiviata: nessuna contrapposizione con Gesù ma nemmeno alcuna sconfitta per Giovanni. Piuttosto il compiersi del piano divino. Nel suo essere precursore e nel perfetto realizzarsi di questo compito c’è il pieno successo e la definitiva gioia per il Battista. L’evangelista chiude pescando dal linguaggio astronomico per descrivere la svolta in atto: Giovanni «tramonta» e «sorge» Gesù come una nuova e definitiva aurora.
Comporre e ricomporre.
«Riuscire» non è «prevalere». Almeno, così è per chi ha uno sguardo come quello del Battista. È difficile avere un’idea di una «vita riuscita» - la nostra anzitutto - oppure anche del semplice essere riusciti in qualche cosa, senza che ciò sia in qualche modo caratterizzato dall’aver prevalso. Riuscire a spiegarsi è spesso un prevalere sul dubbio o l’incomprensione dell’altro. Nella preghiera è la vittoria sulla distrazione. Nel lavoro è affermarsi in un ambiente o in un mercato. Riuscire negli affetti è conquistare una stabilità familiare o raccogliere riscontri sentimentali. Negli studi o nelle ricerche è superare delle prove o correggere teorie precedenti. Nella comunicazione è avere una voce che sopravanza le altre. Gli esempi sarebbero infiniti e perfino la santità viene spesso descritta come un sopravanzare gli altri in virtù. L’esito di un approccio simile è che, in un modo o nell’altro, la vita di qualcuno finisce a pezzi. Quella del secondo, diciamo, che al massimo si lecca le ferite, raccoglie i cocci e si ”accontenta”, che vuol dire condannarsi a non essere nella piena gioia. Giovanni Battista si tira fuori dal gioco e guarda la propria riuscita come una «ricomposizione». La sua vita si «compone» con quella di Gesù e - proprio grazie a Gesù - con quella dei suoi discepoli e del suo popolo. Penso al Risorto, l’uomo dalla vita più «riuscita» che mai sia esistito. Lo penso mentre sceglie di non prevalere sui nemici durante la Passione, o quando ricompone le fratture tra i dodici nella distribuzione della prima eucaristia, o quando, uscito dal sepolcro, rinuncia a umiliare chi l’aveva ucciso con una bella apparizione scioccante e scenografica. Penso al Bimbo di Betlemme, il bambino in cui si realizzano le promesse di Dio. Lo penso nel suo nascere lontano dai clamori e dai cerimoniali di palazzo senza alcuna velleità di sovrastarli, o mentre accoglie l’omaggio semplice dei pastori che vengono sollevati al rango di “dignitari del Re dei Re”, o mentre trascorre anonimo e nascosto gli anni lunghi della vita di Nazaret. La Pasqua e il Natale ci chiamano a riuscire nella vita non prevalendo sugli altri o sulle situazioni, nemmeno su noi stessi. Bensì componendo e ricomponendo la nostra esistenza, la nostra umanità, le nostre potenzialità con quelle di chi cammina con noi e con i contesti in cui viviamo. Nemici o amici che siano. E, in ultima istanza, con Colui che tiene insieme ogni cosa. Che la vita sia un progressivo «componimento» e non un lento e inarrestabile decomporsi è la speranza di Natale e poi di Pasqua. E di Giovanni Battista che tramonta. Ma quanto possono essere belli e riusciti i tramonti?