Giona il profeta: «Cardio Fitness per cuori induriti» - (terza parte) - Se Dio è un personal trainer.
Terza delle tre meditazioni proposte alla Parrocchia della Madonna della Speranza a Grottammare (AP), in occasione degli Esercizi Spirituali di inizio Quaresima, il 2, 3, 4 marzo 2017.
Ascolta la registrazione dell'intervento:
Il punto della situazione
Fissare lo sguardo sul “fotogramma” della nascita e morte del ricino, provando a considerare tutta la vicenda da Giona dalla sua prospettiva, ci ha permesso di accendere una particolare luce sul racconto che ha fatto emergere alcuni aspetti decisivi.
Anzitutto, per quanto il suo comportamento spinga fortemente in quella direzione, il profeta di Jahvè non va catalogato come un capriccioso ribelle disobbediente, bensì come un “malato”, la cui patologia emerge sintomaticamente nei suoi comportamenti viziati.
Il male di Giona prende origine da un risentimento profondo e radicato nei confronti del popolo di Ninive reo di aver occupato Israele, distrutto Gerusalemme, deportato gli abitanti di Giuda.
Ma ancor più, nei confronti del suo Dio che, in barba alla sofferenza del profeta, lo invia proprio dagli odiatissimi nemici a portare una parola che, come Giona intuisce fin da principio, non potrà che essere di salvezza e redenzione.
L’irritazione conduce il figlio di Amittai a un progressivo e inarrestabile ripiegamento, fino ad un livello di chiusura e indurimento interiore tale da non consentire più alcun tipo di compassione. Il risentimento disumanizza Giona ammalandolo gravemente.
L’agire di Dio, a fronte di quella che è a tutti gli effetti una patologia del cuore del profeta, va inteso perciò nei termini di una cura paziente, determinata e sapiente, tutta diretta a liberare giona dal male terribile che lo affligge.
Tutti gli interventi divini disseminati lungo il racconto e rivolti nei confronti di Giona, non rappresentano la rappresaglia divina ai capricci del suo inviato, ma costituiscono una misurata e sapiente terapia.
Il metodo.
La cura di Dio nei confronti di Giona si attua nel racconto attraverso quattro diversi elementi: un comando diretto e perentorio, le forze e gli elementi naturali, le relazioni, il colloquio intimo.
Costituiscono per il profeta degli esercizi veri e propri, occasioni nelle quali e attraverso le quali rimettersi in moto forzando le rigidità di cui soffre. Li passiamo in rassegna uno per volta.
1. Il Comando.
All’inizio della storia c’è un comando. Si tratta di una parola chiara e forte, un ordine vero e proprio. Ha lo stesso vigore e la stessa impronta delle parole creatrici delle origini.
È una parola che "mette al mondo" il profeta, il quale si scopre generato da un altro.
Una parola fatta, dunque per sostenere, orientare e dare senso alla libertà.
Una parola data una volta per tutte e dunque costantemente ripetuta, che rimette in vita il profeta ogni volta che dovesse smarrirsi.
La parola che Dio pronuncia, come abbiamo spiegato nel precedente intervento, non è la consegna di una commessa di lavoro, piuttosto la chiamata a vivere un legame di carattere sponsale, in cui il destino del profeta e quello del suo Dio sono strettamente legati.
«Io sono tuo», dice il Signore a Giona, distendendosi, protendendosi verso di lui: è l'esperienza dell'appartenenza. Anzitutto quella di Dio al suo profeta.
A quest'ultimo è proposto l'esercizio dell'obbedienza che è anch'esso una dichiarazione di appartenenza, uno sforzo di distensione verso la parola pronunciata da un altro.
2. Le Forze della Natura
Per due volte nella prima parte, Giona incorre in imprevisti spettacolari: le forze della natura si scatenano contro di lui e i suoi tentativi autolesionistici (fuga, sonno anestetico e tentato suicidio) falliscono.
Ciò che sembrerebbe colpire il profeta, invece lo preserva da mali peggiori.
Il profeta intende testardamente curarsi da solo e cerca ostinatamente una soluzione autonoma. Nascosta dietro l'imponenza degli eventi, c'è tutta la delicatezza di un padre che mentre osserva un figlio recalcitrante, gli mostra che la via è lasciarsi guarire.
Dio opera come una forza che fa sperimentare a Giona la propria piccolezza e l’assurda pretesa di autosufficienza.
È l'esercizio dell'umiltà, cioè del riconoscimento e dell'accettazione di quel che si è, così come si è. È la "fatica" del lasciarsi amare.
3. La riscoperta delle relazioni.
La missione del profeta è strutturata come relazione: una parola da portare a qualcuno per conto di Qualcuno. È proprio ciò a cui Giona pare resistere.
I marinai e i niniviti, anche se in modo differente, strappano il profeta dall’auto-isolamento e allo stesso tempo lo riconducono alla propria identità. I primi lo esortano a volgersi al suo Dio, i secondi mostrano l’efficacia sanante del tornare a Dio.
Paradossalmente e ironicamente, Giona si riapre alla relazione solo con una pianta.
Quel semplice alleato lo spinge fuori dal complesso “dell’uno contro tutti” di cui era vittima e permette la ricomparsa della compassione nel cuore del profeta.
L'esercizio che il profeta si trova a compiere è quello del legame, la partecipazione dei destini, la consapevolezza di non esistere come "uno". Non si tratta di una semplice interazione, un contatto fugace, piuttosto l'esperienza dell'altro come «storia di me».
Il passo che compie Giona è davvero piccolo, ma è tutto ciò che serve e in ciò dobbiamo e possiamo contemplare la delicatezza di Dio che salva e riabilita, con tutta l'attenzione e la cura che occorrono per "non spezzare la canna incrinata e non spegnere il lucignolo fumigante".
4. Il Dialogo Intimo.
L'ultimo esercizio è quello meno consolante e più faticoso. Ora che il cuore inizia a sciogliersi, Giona, in un colloquio intimo con Dio, è chiamato a mettersi in discussione.
La delicatezza divina non si smentisce nemmeno stavolta: al profeta non sono rivolte accuse, né giudizi o violente requisitorie, piuttosto delle domande. Hanno carattere retorico, collocandosi a metà strada tra la critica e l'incoraggiamento ad avviarsi per un'altra strada.
È il definitivo esercizio dell'esodo da sé: Giona deve prendere consapevolezza della terra in cui si è trovato ad abitare e decidersi a partire verso un paese di ricchezza e abbondanza.
L'obiettivo.
Questi i quattro esercizi per sciogliere il cuore indurito del profeta, ma ottenere quale risultato in definitiva? La semplice obbedienza? La sottomissione docile? La dimostrazione di quale fosse la parte della ragione.
Tutt'altro.
Il Signore si trova di fronte un uomo che ha smarrito la propria identità, il motivo dell’esistere, l’armonia complessiva della sua persona. Giona è disturbato, abbruttito, letteralmente disumanizzato. I suoi tentativi di suicidio dicono simbolicamente questo smarrimento mortale frutto del risentimento provato: Giona come uomo sembra non essere più.
L’aspetto peggiore dell’abbrutimento è la sua incapacità di provare alcun tipo di sentimento positivo e di partecipare alla pietà di Dio per il destino degli altri uomini. Sembrerebbe aver perso totalmente la capacità di compassione, che è il tratto distintivo dell’uomo rispetto alle altre creature, l’elemento che ne fa immagine divina.
L’impegno di Dio sta tutto nel restituire Giona a se stesso, ri-umanizzarlo, ri-armonizzarlo, rimetterlo nelle condizioni di provare compassione per l’altro e per sé. È un lavoro di ri-creazione.
Come nelle origini, il Signore interviene per porre un limite al caos e alla tenebra che ha invaso l’animo del profeta facendolo regredire da uomo capace di entrare in relazione a “animale” diffidente, aggressivo, violento.
Dio si pone come alleato della bellezza, dell’armonia, della compiutezza umana del suo uomo, con una pazienza e una fedeltà capaci di resistere ad ogni renitenza del malato.
Il tutto, in pura logica di dono e con nessun altro obiettivo che il benessere del suo eletto. Giona ritrova la propria libertà senza alcun vincolo, impegno, condizione sul futuro, è solamente riabilitato da Dio.
Scorribanda Evangelica
Facendo una scorribanda nei Vangeli, troviamo nell'operato di Gesù dei tratti molto consonanti con questa opera ri-creatrice di Jahvè.
La caratteristica principale del ministero pubblico di Gesù è l’annuncio della prossimità del Regno di Dio. Il suo annuncio, in parole ed opere, descrive il Regno nei termini di una forza misteriosa ma reale, presente nella storia come alleata dell’uomo e della sua pienezza di vita.
Gesù racconta di un Dio che è Padre buono e dedito ai poveri e mostra, con le guarigioni, la volontà di salvezza che Lo muove. Il Regno è la paternità di Dio che dà la vita senza misura.
Una forza nascosta ma tangibile, stabile e dinamica, attuale e in compimento, delicata e forte, preziosa e fragile. Ancora: una forza compassionevole, mite, inarrestabile, che ricrea ordine e bellezza, che guarisce, che consola, che incoraggia, che sostiene, che illumina, che risolleva, che dà forza, che fa sperare, che dà fiducia…
Una forza che ha una sua giustizia, cioè delle leggi che la governano e la caratterizzano, dei comandamenti che traducono lo stile di chi sta nel Regno e che si vedono nelle opere di chi lo abita.
La sua giustizia è: la fraternità, la carità, la povertà, l’umiltà, la misericordia, la pazienza, la mitezza, la perseveranza, la vigilanza, la generosità, la libertà di cuore, la pietà… In una parola una forza di comunione fraterna e compassionevole da Dio agli uomini e tra loro.
Cercare il Regno è cercare questa forza. Dunque il Regno è prima di tutto un evento interiore non esteriore. Qualcosa che passa attraverso la nostra coscienza, intelligenza, affetti e volontà, le impregna, se ne impasta per poi tradursi in opere esteriori.
Il parallelo con Giona è fortissimo.
Esercizi di Cardio - Fitness spirituale.
Il cammino del discepolo è, dunque, un impegno di continua e convinta umanizzazione. C'è una straordinaria ricchezza e bellezza che portiamo scritta in noi, che opera, che spinge, che ci orienta nel nostro esistere.
Essa emerge, spesso, anche senza che ce ne rendiamo conto, ma quando la assecondiamo con consapevolezza e convinzione, la nostra umanità fiorisce in una luminosità unica.
In questa forza presente tocchiamo con mano il Dio che si cura di noi e che rende il nostro cuore (il nostro modo di considerare, valutare, sentire, scegliere, amare...) come il Suo.
Propongo alcuni ambiti in cui esercitarsi che riprendono gli esercizi compiuti da Giona.
a. Parola e parole.
Mentre si pensa spesso che ciò che caratterizza l'uomo è la capacità di esprimersi in modo elaborato, la disciplina dell'ascolto autentico è il suo elemento tipico.
È un esercizio di scavo interiore, un impegno di retrocessione dell'animo che faccia spazio a ciò che ci interpella. È virtù fortemente attiva e dunque espressione di libertà e nobiltà.
L'ascolto autentico inteso come gesto di accoglienza della realtà al nostro interno è qualcosa che assomiglia a ciò che Dio compie quando ci lascia lo spazio di agire liberamente.
È l'atteggiamento di chi recepisce l'altro così come giunge, ma al tempo stesso ne cerca la sostanza, l'identità profonda, aspira a un'intesa, alla costruzione di uno spazio condiviso.
L'esercizio dell'ascolto profondo, quando punta a cogliere la sostanza dell'altro, ci mette in condizione di intuire la Sua voce nelle cose e dilata l'animo alle Sue misure.
Può essere utile, in Quaresima, verificarci sulla qualità effettiva della nostra disposizione all'ascolto.
b. Occasioni o tentazioni.
Non c'è esercizio che renda il cuore dell'uomo così elastico, reattivo e sciolto quanto il discernimento. Non siamo fatti per obbedire agli istinti ma nemmeno per applicare ciecamente regolamenti o elenchi di precetti.
Piuttosto siamo fatti per imparare a cogliere le particolarità delle circostanze e delle situazioni, valutare le conseguenze, vagliare una varietà di soluzioni, tenendo in mano il riferimento della Parola di Dio.
Siamo fatti per cogliere e assecondare lo spirito che parla nelle situazioni, che ispira la nostra coscienza, che ci sostiene nell'obbedire alla legge morale.
Siamo chiamati a considerare le circostanze per riconoscerne la natura di occasione o di tentazione, rigettando l'arroganza dell'applicare ricette preconfezionate.
Il discernimento è la ricerca del modo in cui il Signore ci invita a lasciarci amare da Lui per questa o quell'altra strada, e disporsi poi a seguirLo.
Come buon esercizio quaresimale, è buona cosa mettere in discussione qualche buona abitudine consolidata o qualche scelta da tempo compiuta, per comprendere quanto se ne custodisca ancora lo spirito iniziale.
c. Mai senza l’altro.
Un cuore pienamente umanizzato è un cuore che parla sempre al plurale e ha dimenticato il singolare. Non per la volontà di imporsi sugli altri, ma per aver colto l'innegabile interdipendenza che esiste tra gli uomini.
È il cuore che non sa più dire: «Sono forse io il custode di mio fratello?», piuttosto si chiede incessantemente dove si trovi il proprio fratello.
Un cuore che rinuncia a ogni logica utilitarista o commerciale nelle relazioni, perché comprende ormai che l'altro non è l'occasione della propria realizzazione ma il luogo della propria esistenza.
Non si tratta di un cuore che banalmente si intenerisce, piuttosto di un cuore che vive, ordinariamente, fuori di sé.
Un semplice ma efficace esercizio penitenziale è il «digiuno dalla parola io», inteso come impegno, dentro le situazioni, a mantenere sempre una prospettiva plurale.
d. Custodisci sopra ogni cosa il tuo cuore.
Il cuore chiede manutenzione ordinaria. Cresce ogni sorta di pensiero, suggestione, idea, illusione, aspettativa, passione, intuizione, desiderio... dentro di noi.
Non basta discernerli chiamandoli per nome. Occorre estirpare senza esitazioni ciò che è infestante e tossico. Rancori e risentimenti prima di tutti.
È bene verificare in Quaresima se ci siano nel nostro animo pensieri cupi da estirpare e procedere, con determinazione.