I baffoni grigi e i riccioli bianchi sempre scarmigliati, gli occhialini tondi a mascherare due occhi allegri, una mano in meno. Quella se l’è portata via la curiosità quand’era ragazzino. Ma la stessa curiosità gli ha restituito la vita quando anni dopo il cuore s’era fatto tenebroso e i giorni erano solo tormento. Il mio amico Franco ha gli occhi da ragazzino e l’animo di un sognatore.
Il mobile è stato il suo lavoro, ma il suo mestiere non è certo il mobiliere. Lui è un artista, anzi, come ama dire spesso «un creativo». Non gli si può dar torto: è creativo persino nel suo essere artista. Anzi, se non sapessi di esagerare, direi che è un creatore. Dal nulla non gli ho ancora visto estrarre alcunché, ma in quanto a rigenerare, rivalutare e ridare vita, quanto a fantasia, a capacità di vedere oltre l’immediato e a intuito nel cogliere strade nuove, dimostra di portare in sé l’immagine del Creatore. Per Franco nulla è mai da buttare del tutto e ogni cosa, anche apparentemente a fine corsa, può ritrovare senso ed espressione se usata e collocata in modo adeguato. Le sue composizioni sono così: la teoria applicata che nulla va definitivamente perduto.
Chissà se per quella mano andata persa. Chissà se per il pericolo corso di considerarsi un vuoto a perdere. Fatto sta che negli occhi e nelle mani di Franco i pezzi di scarto posti uno accanto all’altro secondo il suo cuore sognatore compongono una bellezza e un’armonia che li trasforma in frammenti irrinunciabili per eloquenza e simbolicità. Così un pezzo di legno diventa un gabbiano in volo, la stringa di una scarpa una strada di campagna, una mezza pallina da ping pong una luna piena, un coltello rotto il vomere di un aratro. Nelle sue installazioni, quel che era destinato a non essere più rinasce e rivive in una luce nuova.
Ogni volta che guardo un’opera di Franco sento la presenza di Dio che si affanna perché nulla dell’uomo vada perduto e che sa plasmare e riplasmare le cose come un vasaio con la creta, affinché la bellezza, in un modo o nell’altro, esca vincitrice. Nell’arte di questo creativo rivedo l’arte evangelica di non considerare mai l’uomo come un rifiuto, comunque sia, qualunque azione abbia commesso, in qualsiasi condizione si sia ridotto. Nulla mai di una persona può e deve essere buttato, nemmeno il suo peccato. Perché persino con quello, anzi proprio in quello, Dio compie le Sue opere più grandi e più belle, quelle dell’amore impensabile e fuori misura.
Non passa giorno che non veda con i miei occhi un frammento di questa Chiesa anonima e fuori mano dedicare tutto se stesso a raccogliere i pezzi di scarto dell’umanità, compiendo capolavori belli e riusciti quanto quelli del mio amico Franco. Quella è la Chiesa che davvero evangelizza e della quale questa mia terra è ancora ricca. Perché certo è esistita una «cattolica Brianza», quella che trionfava in processioni affollatissime, dalle chiese straripanti, negli oratori stracolmi, ma solo quest’altra che di nascosto opera come il Creatore è stata ed è ancora vera Chiesa, Brianza cristiana.
Oggi la «cattolica Brianza» che trionfa non esiste più ma ne restano i nostalgici che, mentre corrono con il gonfalone in mano, non si vergognano di schiacciare quelli che loro considerano scarti d’uomo solo per un diverso accento, colore della pelle, religione o orientamento sessuale. Voglio imparare da Franco e pensare che anche di questi avanzi anacronistici, in un modo o nell’altro, il Creatore farà una bellezza.