Vivo nell‘attesa di Colui che viene. Ma non faccio di questa vita una sala d’aspetto. Cerco Colui che è già il mio tempo. Non sono attimi di fredda assenza da fuggire. Ma istanti da cui succhiare il gusto di una bruciante Presenza. Colui che attendo è. Colui che viene è. Al modo di chi viene sempre, è. Lo attendo, per questo vivo. Per questo sono vivo. In questo suo interminabile Avvento che fa del mio presente un Eterno.
Ridurre i tempi di attesa. A tutti i costi.
Tagliare le code, accorciare i tempi di consegna, comunicare istantaneamente.
Velocizzare le fasi di lavorazione, diminuire la durata delle cotture, accelerare i tempi di maturazione.
Sveltire le pratiche, snellire i processi, abolire i tempi morti.
L’attesa è un ladro molle ma implacabile.
Chi attende perde il ritmo, perde velocità, perde il filo.
Il tempo soprattutto. Così prezioso, così sfuggente, così necessario. Così tante cose da fare, da provare, da vedere, da leggere, da ascoltare, da vivere. Così tante e così poco tempo!
Quel che si perde attendendo non lo si può recuperare, perciò chi attende è perduto.
Chi attende ci perde. Chi attende si perde.
È vero: chi vive l’attesa si perde. Perde il controllo di sé, perde il governo per metterlo in mano a qualcosa d’altro. Quasi sempre qualcun altro.
Perciò l’attesa costringe ad affinare il sentire, spinge a concentrare intelligenza, volontà e memoria, sollecita a prepararsi, obbliga a fare ordine, rende acuti i sensi, amplifica i desideri.
Afferra l’animo per un capo e lo distende verso l’atteso, proiettandoci oltre noi stessi, al di là del contingente, verso un di più.
Così, se l’attesa ruba istanti di tempo, regala, però, larghezze al cuore, facendo “magnanimo” - uomo o donna dal grande animo - chi sa sostenerla.
Chi, per fede, attende «Colui che viene» sceglie di far di tutta la vita un’attesa.
E il cuore, attratto dal’Eterno Presente si distenda alle Sue misure. Quelle del «senza misura».