Lui e Mary. La vita davanti. Un giardino verde verso cui correre. Un fiume rigonfio in cui immergersi. La stretta degli schemi sociali - fondi come una valle - da cui fuggire alla ricerca di un Eden perduto. Un’abbondanza inseguita e una liberazione come un battesimo da ricevere: immersione e rinascita. Una redenzione attesa, l’emancipazione da un futuro che pare già scritto come la fotocopia sbiadita del destino del proprio padre. E’ un colpo di reni quel tuffo nel fiume della vita. Lo slancio spasmodico verso le sue sorgenti, la tensione verso il riscatto ultimo. Un’ostinazione che non si placa ma scorre potente anche dentro una gravidanza precoce, un matrimonio dimesso e frettoloso, un libretto di lavoro che sa di promessa e di responsabilità. Come quel corso d’acqua potente e salvifico. Nostalgia, fame e promessa. Un impiego, ora. Solido, sicuro come fare il manovale. Il fiume scorre. La vita insieme a lui, veloce e rigogliosa. Ma ciò che si è sognato, desiderato e promesso quando non si realizza è solo una bugia, o forse peggio. E lo scorrere di quel fiume impetuoso si infrange contro gli ostacoli di una crisi. Svanisce il lavoro, la luce dei sogni si spegne, il futuro si fa oscuro e la forza di quell’acqua vitale se ne va. Le speranze non sono altro che un fiume in secca. Si sopravvive fingendo di non ricordare o dissimulando l’importanza di quel che si è perduto. Si mente a se stessi raccontandosi la possibilità di una vita arida e ferma come una sorgente esaurita. Si cerca lo stordimento, ci si lascia tentare dall’oblio. Ma sono i ricordi che tornano come una maledizione a riaccendere la sete e a far correre giù al fiume, per quanto ancora sia asciutto. Ostinatamente, tenacemente verso il fiume della vita.
E’ "The River" di Springsteen a raccontare questa storia, ispirata alla vicenda di sua sorella e di suo cognato travolti dalla crisi economica del settore edilizio americano degli anni ’70. Una storia di fame e sete, di lotta ed emancipazione, di sogno e di disillusione. Una storia di un uomo e una donna che credono alla promessa della vita e vi restano tenacemente aggrappati anche quando essa sembra tradirli condannandoli a una carestia mortale.
L’ho riascoltata di frequente in questo tempo natalizio. L’ho riascoltata nelle vicende che ho raccolto. Decine di storie in cui il fiume della vita pare essersi disseccato. Un lavoro perduto. Un matrimonio finito. Un progetto fallito. Un amore non corrisposto. Un figlio che delude. Una violenza subita. Una morte innocente. L’aridità delle relazioni. Una fede che si sfalda. Una Chiesa che non si ama più. Stanchezza diffusa, senso di logoramento, assenza di prospettiva futura. Ho toccato con mano l’inaridirsi della sorgente in molti uomini e molte donne. Lo spegnersi della speranza e della voglia di riscatto. La tentazione della resa e l’illusione della fuga. La cecità nel credere che lo stordimento sia una soluzione. E ho riascoltato il Vangelo, ancora una volta.
«Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”». (Lc 4, 17-21)
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». (Mt 11,28)
«Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete”». (Lc 6, 20-21)
«Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”». (Gv 7, 37-38)
«Le disse Gesù: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”. Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. Detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”». (Gv 11, 40-43)
Una sorgente incessante di vita. Una speranza oltre ogni speranza. Una Presenza che nutre e sostiene là dove pare non esserci che fame e aridità. Una vera forza di salvezza che opera a fianco di coloro che arrancano nelle secche dell’esistenza. Una Parola capace di rivitalizzare anche ciò che pare esser giunto al capolinea definitivo.
Continuo con insistenza a interrogarmi se la mia Chiesa di questo tempo è vicina alla storia degli uomini anzitutto con questa Parola potente di Speranza e di Salvezza, questa Parola che alleggerisce, rivitalizza, rilancia la vita. Se oggi, in questo tempo di crisi e di aridità, siamo anzitutto preoccupati di condurre gli uomini - tutti gli uomini - a ritrovare quella linfa vitale che scorre nel profondo di ciascuno. Se davvero stiamo mostrando che il Vangelo è per ognuno e che in esso qualunque uomo o donna può trovare, se lo desidera, una sorgente inesauribile di vita. Guardo a questa mia Chiesa anch’essa un po’ smarrita dal veder assottigliarsi il suo fluire un tempo impetuoso e indiscusso. E vorrei vederla anzichè dibattersi, come i due giovani della canzone, tra le nostalgie, la negazione della realtà presente, il desiderio di un ritorno ai rigogli passati, andare con decisione e umiltà verso l’unica sua Sorgente vitale. Vorrei vederla un po’ meno preoccupata del proprio destino immediato e più protesa con slancio e freschezza verso chi si sente su un binario morto. Magari la smetterebbe un po’ di preoccuparsi di difendere posizioni di potere, di intestardirsi nel ribadire assunti dottrinali - per quanto importanti - o di cercare di “fare il pieno” appoggiandosi a questo o a quell’altro presunto uomo della Provvidenza. Che sempre attuale è la parola di Geremia:
«Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l'acqua.» (Ger 2,13)