Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. (Gv 8, 31-37)
Gesù era un anticlericale.
Lui sì che era un vero anticlericale. Mica come quei dilettanti di oggi, ex-mangiapreti radical-chic che sputano su tutto ciò che anche vagamente odora di cristianesimo, o pseudo-grillini in versione cattolica che sparano alla gerarchia cattolica che unica e sola fonte dei mali della Chiesa e del mondo intero.
Anticlericale sul serio, in senso etimologico.
Perché l'etimologia insegna che «clero» anticamente faceva riferimento a un possedimento, un pezzo di terra (proviene da κλάω = spezzare, frazionare) la cui proprietà si trasferiva ereditariamente da una generazione all'altra.
In seguito, per estensione del concetto, divenne prima sinonimo di popolo che "ha un'eredità in cielo", per poi trasferirsi sui sacerdoti come "parte eletta" del popolo stesso, fino a prendere il senso attuale di categoria sociologica.
Inteso nel suo senso originario, Gesù di «clero» era circondato.
Sono esattamente quelli che nel Vangelo di Giovanni ascoltiamo ripetere: «Noi siamo stirpe di Abramo… Nostro padre è Abramo… Noi abbiamo un solo padre, Iddio».
Santi per discendenza. Eletti per codice genetico. Eredi per diritto. Clericali, appunto, e della peggior specie.
Di quelli che del loro deposito ereditario non ne facevano un motivo di umile riconoscenza, sforzandosi incessantemente di corrispondere al dono ricevuto, bensì occasione di arroganza, di presunzione di giustizia, di esercizio iniquo del diritto posseduto.
In senso più proprio potremmo dire che quel tipo di Giudeo si sentiva messo a parte, preservato come un deposito prezioso, al riparo - per natura, etnia e diritto - da ogni pericolo di tradimento della propria fedeltà a Dio e alla Sua alleanza.
Contro questi clericali Gesù si scaglia con forza.
Perché costoro, con il considerare la propria santità un fatto puramente ereditario, avevano finito col negarne il legame con il concreto agire quotidiano. Non c'era più contraddizione tra il compiere malvagità e considerarsi eredi dell'alleanza di Jahve con Abramo.
La fede era diventata «clero» a sua volta, pezzo, porzione spezzata e separata dal resto della vita. E dunque ideologia pura, incapace di incidere sulla coscienza del singolo.
Le parole di Gesù puntano a demolire proprio questa concezione: non esiste separazione tra fede e vita, tra credere e agire, tra professare e operare.
C'è un'unità inscindibile alla base dell'individuo, che non permette di considerarlo come un semplice insieme di frammenti esistenziali giustapposti, seppur in modo armonico.
La persona è unica e il Vangelo è per la persona nella sua integralità. Perciò non esiste alcuno che possa auto-attribuirsi per qualche strano principio una perfezione di fede compiuta, ma tutti sono chiamati a porsi in un cammino di graduale, costante e progressiva adesione al Vangelo, che tocchi l'effettivo agire quotidiano, in tutti gli aspetti dell'esistenza.
Tutti chiamati per grazia, nessuno per diritto. Tutti per strada, nessuno già arrivato.
Ogni volta che si parzializza la fede rispetto al resto dell'esistenza.
Ogni volta che si fa a pezzi il Vangelo, prendendone solo qualche elemento utile al mio benessere, alla mia battaglia politica, alla mia autorevolezza.
Ogni volta che si spacca l'umanità tra «santi per diritto» e «dannati di risulta».
Ogni volta, soprattutto, che ci si auto-assegna la patente di credenti autentici, tagliando via come inutile cascame chi non ci somiglia, si prende la deriva del clericalismo, laico o di sacrestia che sia.
E si fa un passo più lontano da Gesù Cristo, quell'anticlericale.