«Non è qui, è risorto» Doveva mancargli l'aria.
Troppo buio. Troppo stretto. Troppo chiuso. Uno che respirava della Brezza che mosse da principio ogni cosa, che lasciava ispirare i Suoi piedi e le Sue mani dal Soffio che «non si sa di dove viene né dove va», che nutriva i polmoni dei Suoi pensieri e dei Suoi sentimenti al vento dello Spirito che dà la Vita, là dentro non poteva stare a lungo. Già troppi tre giorni in quello spazio così angusto per uno che di nome fa «Infinito, Altissimo, Eterno». Il fatto è che, con la storia che Lui ama farsi presente anche in ciò che è Infinitamente Piccolo, si finisce col sottovalutare la claustrofobia di Dio. Invece Lui ne soffre proprio, eccome. No, le ristrettezze, gli spazi angusti, gli orizzonti limitati non fanno decisamente per Lui. Anzi, non perde occasione di dimostrare che le chiusure, qualsiasi forma e ragione abbiano Gli sono nemiche. Figurati la morte. La Chiusura per antonomasia, madre prolifica dei vicoli ciechi, delle paure paralitiche, delle mentalità limitate, delle ideologie schiaviste, degli egoismi sclerocardici. Chissà come Gli è mancata l'aria, tra le braccia di colei il cui respiro puzza di Fine.
Avrebbero potuto aspettarselo, i suoi. Una certa allergia alle chiusure l'aveva ampiamente manifestata. Si era liberato alla svelta della soffocante interpretazione letterale della Legge di scribi e farisei, fatta più per stringere al collo l'uomo col cappio schiavizzante di una imminente condanna che per farlo godere del respiro libero di chi sa di essere figlio. Aveva svelato senza possibilità di fraintendimento quanto limitata fosse la salvezza di chi confidava nelle ricchezze e quanto grande potesse essere l'affanno di chi si credeva artefice della propria salvezza. La Sua mitezza aveva aperto nell'inviluppo della spirale della violenza una crepa da cui potesse penetrare la frescura della riconciliazione. Il suo stile di servizio aveva allargato la grandezza dell'uomo ad altri orizzonti che quelli del potere e dell'affermazione. Si era divertito a frantumare con il senza misura della gratuità i cuori resi asfittici dalle logiche commerciali del dare per avere, e si era sbarazzato senza fatica dalla presa soffocante della logica retributiva che premiava il giusto e puniva il malvagio, respirando a pieni polmoni dell'infinita Misericordia del Padre Suo «che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi». Perfino il perimetro del Suo clan familiare, con tutto il peso che gli si dava si era dimostrato troppo stretto a Lui che aveva bisogno di tutto un altro respiro cercando fratelli e sorelle, senza limiti, distinzioni o confini. Per non parlare di come aveva spalancato porte e finestre dei cuori di coloro che intendevano mettersi a controllare la carta d'identità di chi dovevano considerare prossimo. Opprimente per Lui, ancora, quanto e più di un sepolcro, quel tempio che i sacerdoti e i potenti del popolo avevano trasformato in un covo di ladri dediti a togliere vita e futuro al popolo sottomesso. Da radere al suolo e ricostruire per intero. In tre giorni, appunto. Si era ribellato, infine, con tutte le sue forze, come uno stretto alla gola, ad ogni tentativo di diminuire o contenere l'infinito della Misericordia, della Fedeltà, della Compassione, della Generosità del Padre Suo, sfondando i recinti in cui volevano rinchiudere la sua smisurata volontà di salvezza. Da ciascuno di quei recinti chiusi e senz'aria era già risorto, spaccandone le logiche ristrette e mortifere. Lui, lì, non ci stava dentro e certo "Gli mancava l'aria". Come in quel sepolcro, da cui è fuggito, si sa, per "divina claustrofobia".
Quando il cristianesimo diventa l'ennesima prigione di precetti e comandi, senza porte nè finestre da cui la maggior parte di chi vi è rimasto intrappolato non vede l'ora di fuggire e chi ne sta fuori si guarda bene di entrare. Quando l'annuncio evangelico appare come una fortezza inaccessibile di verità indiscutibili, difesa da pochi sopravvissuti, che chiudono i soli varchi rimasti, con minacce apocalittiche e anatemi lanciati a destra e a manca. Quando i cristiani nelle vicende del mondo paiono terrorizzati, in perenne assetto di guerra, intenti ad ergere difese, a far saltare i ponti, a chiudere le strade, ad armarsi contro veri o presunti nemici. Quando i credenti vivono con lo sguardo perennemente rivolto al passato, nello sforzo estremo di puntellare ciò che han costruito e che non regge più, con le spalle rivolte al mondo incuranti di ciò che vi accade. Vuol dire che non si crede alla Pasqua. Ogni volta che non si crede al Risorto, il Vangelo soffre di claustrofobia e i cristiani, con la loro fede, puzzano decisamente di chiuso, per non dire di morte, sepolti nel bunker di un credo, il quale, senza il Risorto, non può che essere anch'esso una tomba.
Questo tempo è senza dubbio la fine di un epoca. Di un mondo come lo conosciamo, di una Chiesa come l'abbiamo sempre vista. E se questo tempo è la fine di un tempo, allora è tempo per i cristiani, quelli veri: coloro che, con la Pasqua in mano, vivono nell'agio della fine dei tempi. Perché, chi crede alla Pasqua, quando vede finire qualcosa, si alza in piedi fiducioso ed entusiasta per cogliere immediatamente ciò che Dio sta per realizzare di nuovo e di mai visto proprio dentro ciò che sembra finire. Perché, chi ha visto il Risorto si lancia nella storia senza paura e con determinazione, alla caccia del Regno che cresce e della Vita che si afferma contro ogni logica di morte e se ne fa alleato e collaboratore, carico della speranza che viene da Colui che sempre dà la vita senza misura. Quando un tempo sembra chiuso, il Dio della Vita si sta facendo largo. Tutti fuori, su! Che per chi ha naso e polmoni di aria ce n'è, nuova, fresca, viva. Eterna.