«Amare sì, ma fino a quando?». Di fiducia, comprensione e di ciò che rende umani.
Omelia su Gv 16, 33 – 17, 3 (Domenica della VII Domenica dopo Pentecoste - Rito Ambrosiano)
Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo! ». Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo». (Gv 16, 33 – 17, 3)
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La Cena è consumata e i giochi sono fatti.
La fine incombe.
Ha parlato loro a lungo della sua partenza.
Dice che sarà un bene.
Imboccheranno il loro sentiero, troveranno il loro spazio, faranno grandi cose.
Ma è anche il tempo della dispersione e dell'abbandono.
Ecco, viene l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo. (Gv 16, 32)
Perderanno Lui, perderanno i legami, perderanno se stessi.
Questo è ciò che dice loro perché abbiano pace.
C'è pace, infatti, nella consapevolezza che il bene del Maestro non è un premio e che non ha un prezzo.
L'amore non si compra e non si merita.
L'amore è.
Il tradimento e l'abbandono non li renderà meno discepoli, meno amici, meno amati.
Sono discepoli, amici, amati solo per intenzione d'amore e nient'altro.
C'è pace in una volontà di vita che non conosce ostacoli. È la volontà che non intende concedere l'ultima parola alla morte e alla disperazione.
C'è pace in una fiducia che guarda in faccia il possibile tradimento e lo abbraccia, senza ingenuità. È la fiducia che osa credere che il male fatto non sia ragione buona per togliere nuove occasioni di vita.
C'è pace in una comprensione che ha il coraggio di accompagnare i cammini che mai sono lineari e razionali. La comprensione che sa che il bene si costruisce portando anche una quota di male.